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CAPITOLO 4 – Hammer Of The Gods

 

Verso le tre del pomeriggio, quando ormai la Estrella del Mar aveva raggiunto da un pezzo il mare aperto, decise che era arrivato il momento di entrare in azione. Attendere oltre avrebbe significato allontanarsi troppo dalle coste europee mentre il sole d’autunno iniziava già a calare, dandole la certezza di dover agire al buio, oltre al rischio che avendo abbandonato l’Europa, a poco a poco le venisse a mancare anche il supporto del suo Vril.

Tornò allora ad indossare lo zaino, che aveva riempito con una ventina di bombe a mano trovate nell’arsenale della nave, sistemandoselo però sul petto, anziché sulla schiena. Poi preparò vicino all’uscita il Kalashnikov e la mitraglietta a corto raggio che aveva scelto ed inspirò profondamente.

Dopo essersi occupato delle complesse manovre di uscita dal porto ed aver condotto l’imbarcazione fuori dalle acque territoriali olandesi, il Capitano si era concesso una pausa per il pranzo ed una meritata pennichella, e dunque in quel momento alla guida della nave si trovava il comandante in seconda, in compagnia di una delle coppie di marinai che di tanto in tanto lo venivano a trovare per scambiare quattro chiacchiere e provare ad ammazzare la noia: ora che erano partiti, fino all’arrivo a destinazione non avrebbero avuto molto altro da fare.

Sara spalancò la porta d’improvviso e sparò per primi ai due malcapitati con le pistole silenziate, spappolando il cervello al primo e ferendo mortalmente il secondo. Prima che il nostromo si potesse rendere conto dell’accaduto, lo afferrò per i capelli e lo fece sbattere con inaudita brutalità contro la plancia di comando; per finire, rifilò un tremendo calcio alla testa del marinaio ferito, ponendo fine alle sue pur brevi sofferenze.

La porta della sala comandi aveva ancora la chiave infilata nel lato interno: la Mjolnir chiuse il battente e la girò, per avere il tempo di nascondere i tre cadaveri nello stesso posto dove era rimasta nascosta lei stessa fino a poco prima. Dopodiché raggiunse la plancia comandi ed impostò al massimo i giri del motore, prima di impostare una virata, quanto più brusca possibile, verso sinistra. Recuperò dallo zainetto una delle bombe a mano e tolse la sicura, gettandola nel locale dell’arsenale per rendere inservibili le armi rimaste, poi richiuse la porta ed uscì, fiondandosi giù dalle scale in attesa dell’esplosione. Il botto innescò una ulteriore serie di deflagrazioni che distrusse completamente il locale e la plancia dei comandi, rendendo la nave ingovernabile.

 

Successe tutto nel giro di pochissimi minuti: i corridoi si popolarono di marinai in preda al panico, sorpresi dal rumore dell’esplosione, ma anche dal repentino cambio di direzione e di velocità che la Estrella del Mar aveva subito. Sfruttando il vantaggio che le offriva la sua posizione riparata e rialzata, Sara estrasse la mitraglietta e fece fuoco su chiunque vedesse passare, aumentando ulteriormente l’isteria dei marinai che non erano stati colpiti. Non c’era più ragione di nascondersi: ora la sua priorità era quella di impedire che i nemici raggiungessero le scialuppe di salvataggio.

Senza smettere di sparare, la Mjolnir si stava facendo strada tra il tappeto di cadaveri che rivestiva il corridoio, quando da dietro una delle porte uno dei navigatori la aggredì brandendo un coltello. Per quattro volte la pugnalò dall’alto verso il basso colpendola alla spalla e al fianco destro, prima che la sua rabbia riuscisse ad avere il sopravvento sul dolore; solo allora Sara riuscì a colpirlo al mento con il calcio dell’AK47. Il colpo gli fratturò la mascella e lo fece svenire, e cadendo a terra all’indietro lasciò una gamba a penzoloni sul bordo inferiore della porta della sua cabina. Sara raccolse al petto la sua gamba destra, la rilasciò con forza verso il basso e fratturò quella dell’avversario, per impedirgli di muoversi anche qualora si fosse ripreso. Prima di procedere oltre, lo guardò in faccia: si trattava del Capitano della nave. “Con te non ho ancora finito”, sibilò, in italiano. “Non morire ora: tornerò più tardi.”

La virata a babordo e l’incremento di velocità impostati da Sara, entrambi irreversibili, avevano prodotto l’effetto di far inclinare pericolosamente la Estrella del Mar sul lato di tribordo; alcuni marinai, in tutto una ventina, erano già riusciti a raggiungere le scialuppe e a salirci, sia da quel lato del mercantile, sia quello opposto, e si stavano adoperando per calarle in acqua; Sara valutò che per lei fosse più urgente sterminare quelli sul lato di tribordo, più vicini alla salvezza. Freddò allora alle spalle alcuni marinai, poi spolettò per ognuna delle scialuppe presenti una delle sue bombe a mano e le lasciò esplodere, in modo che la deflagrazione recidesse uno dei due spessi cavi di metallo che le reggevano, ormai arrivate quasi a metà percorso. Un paio di malcapitati avevano tentato disperatamente di aggrapparsi alla scialuppa evitando la caduta, ma Sara se ne accorse e fece fuoco, uccidendoli e facendo in modo che seguissero il destino degli altri, precipitando tra le onde. Anche se tra loro ci fossero stati dei sopravvissuti, in breve i loro corpi sarebbero stati smembrati dalla chiglia della nave, o peggio dalle sue eliche ancora in movimento.

Ora bisognava occuparsi dei loro colleghi sul lato di babordo: erano meno numerosi e di gran lunga più in difficoltà degli altri, visto che la nave, ormai fuori da ogni controllo, continuava ad inclinarsi sul lato destro. Da quella parte il ponte avrebbe ben presto sfiorato il pelo dell’acqua, mentre dal loro lato il rollio aveva allontanato troppo le scialuppe dalla superficie dell’Atlantico, ed ora i cavi di metallo non sarebbero stati sufficientemente lunghi per raggiungerlo. Quando non senza qualche difficoltà di movimento Sara riuscì a raggiungerli, li trovò nel bel mezzo di una accesa quanto inutile discussione sul farsi. Avvicinatasi a sufficienza, imbracciò la mitraglietta ed aprì il fuoco, mirando ad una dozzina di centimetri più in alto rispetto alle loro teste ed urlando, con tutto il fiato che aveva in corpo: “Qui es, lo que matò a la puta? Donde està?”

Sparò di nuovo, stavolta mirando a pochi centimetri dai loro piedi. “Habla!”, gridò ancora, furiosamente. Non aveva ancora finito di gridare, ed ecco che uno di loro tentò disperatamente di arrampicarsi sul parapetto per scavalcarlo e saltare sulla scialuppa, mentre il marinaio che stava alla sua destra, forse sperando che così facendo avrebbe avuto salva la vita, provava ad impedirglielo, trattenendolo a bordo e giurando che si trattava del colpevole. Sara premette ancora il grilletto ed uccise gli altri tre senza troppi complimenti, avvicinandosi ulteriormente. Una volta che fu abbastanza vicina da prendere in consegna l’accusato dalle mani del suo ex amico, lo tirò verso di sé e sparò in mezzo agli occhi dell’altro, lasciando che il suo cadavere scivolasse verso il lato opposto del ponte, per poi cadere in mare.

Senza perdere altro tempo rifilò a Rodriguez un paio di calci ben assestati, rompendogli tibia e perone destri e la rotula sinistra, dopodiché lo afferrò per la collottola e lo trascinò di nuovo verso le cabine, incurante delle sue urla di dolore.

Le erano rimasti solo pochi minuti prima che l’inabissamento della nave avesse inizio. Reggendo l’assassino di Francesca per la collottola, giunse davanti al Capitano, che nel frattempo aveva ripreso conoscenza, e lo gettò al suolo, per andare a cercare qualcosa di tagliente. Recuperò il coltello con la quale era stata aggredita, si chinò su quel macellaio e gli calò pantaloni e mutande. Con un gesto sadico e pieno d’ira, gli tagliò di netto gli attributi e gli recise il pene, ed approfittò della sua bocca aperta nell’atto di gridare di dolore per infilare il tutto lì dentro. Poi iniziò a spingere, spingere, spingere, senza pietà.

“Hai ammazzato la mia migliore amica come un cane”, ringhiò l’Italiana nella propria lingua madre, con gli occhi azzurri iniettati di sangue. “L’hai violentata, l’hai picchiata, l’hai strangolata, e quando era già morta, l’hai stuprata di nuovo. Per anni ti sei arricchito vendendo droga a ragazzi e ragazze disperati come lei, e lo stesso hanno fatto gli altri marinai di questa nave. Fino ad oggi l’avete sempre fatta franca, ma adesso è arrivato il momento di pagare.”

Dopo pochi istanti, indebolito dalla perdita di sangue e dalla carenza d’ossigeno, Rodriguez perse conoscenza. Istintivamente Sara chiuse gli entrambe le mani attorno al collo e terminò l’opera, strangolandolo come lui aveva fatto con Francesca.

Nel frattempo, un po’ ovattato, da sotto la linea di galleggiamento della nave si sentì provenire un gran botto. Il timer era arrivato a zero, e l’esplosivo piazzato da Olga prima di abbandonare la nave aveva fatto il suo dovere, producendo uno squarcio che ben presto avrebbe lasciato entrare nella chiglia enormi quantità di acqua.

“Giustizia è fatta”, annunciò Sara parlando in italiano, con un sinistro sorriso di soddisfazione. “O per meglio dire, lo sarà molto presto. Non appena tu e questa maledetta nave sarete andati a dormire con i pesci”, disse rivolgendosi al Capitano che aveva assistito all’intera scena, impotente e terrorizzato. Usò ancora l’italiano, ma ciononostante era sicura che avesse capito benissimo. “Dove la giustizia degli Umani non ha potuto arrivare, questa volta è arrivata quella degli Dei.”

Si chinò su di lui, lo afferrò per la collottola e lo sollevò senza alcuno sforzo, proprio con il braccio che poco prima l’Argentino aveva ferito. Una smorfia di disgusto le incrinò il viso quando si rese conto che il comandante, piagnucolando ed implorando pietà, si era cagato e pisciato nei pantaloni. Con disprezzo lo gettò sul pavimento della sua cabina: “Tranquillo, non ho intenzione di uccidere anche te. E pensa, ti concederò anche l’onore di affondare assieme alla tua nave. Te lo meriti, ora che hai finalmente capito dove ti sta portando il tuo comportamento.”

Si voltò con movimenti lenti e sicuri ed uscì dalla stanza, sbattendo la porta in metallo con una tale violenza da incrinarla nel mezzo; la rese così inservibile, aggravando ulteriormente la situazione per il Capitano, già spacciato senza quel gesto. Abbandonandolo al proprio destino, uscì di nuovo sul ponte, alla ricerca del punto più distante dalla superficie dell’acqua. Una scaletta in metallo incassata nella parete consentiva di raggiungere i piani alti della nave, dove si trovava la cabina di pilotaggio distrutta dalle esplosioni che lei stessa aveva provocato. In breve, Sara la oltrepassò e proseguì, fino a spingersi sopra al tetto di metallo che la ricopriva, trovando che era ancora piacevolmente caldo; lì si sedette a gambe incrociate, impassibile, ad attendere l’inabissarsi della nave. Era solo questione di pochi minuti: ferita a morte sul lato di babordo in prossimità della prua, la Estrella del Mar imbarcava da quel lato migliaia di litri d’acqua ad ogni istante che passava. Curiosamente, il peso dell’acqua sembrava aver fatto diminuire l’inclinazione che il mercantile aveva subito verso il lato destro, ma era questione di pochi minuti prima che la prua venisse trascinata verso il fondale, facendo salire verso l’alto la zona della poppa, dove Sara si trovava. Era anche probabile che la chiglia, a causa del maggior peso della parte posteriore, ad un certo punto si spezzasse in due tronconi, che sarebbero colati a picco separatamente.

“Tutto ciò che ho fatto oggi non potrà mai riportarti indietro, Francesca”, mormorò Sara, piangendo. “Lo so. Ma non mi interessa, perché oggi sarò io a venire da te. Torneremo a stare insieme, proprio come ai bei tempi, ricordi?” La stessa brezza che increspava appena la superficie dell’Oceano, le fece accapponare un poco la pelle chiara. “Forse… forse, sì. Forse negli ultimi anni eri cambiata, e adesso non vorresti nemmeno più passare un minuto con una sfigata come me. Ma io la penso diversamente. Penso che sia stata la roba come quella che trasportava questo schifo di nave, ad annebbiarti il cervello e a rovinarti la vita. E sono contenta che ora non possa più fare lo stesso con altre persone.”

La Mjolnir iniziò a piangere ancora più forte, in preda alla disperazione: “Ci ho provato, Fra! Ci avevo provato ad avvertirti, a salvarti… ma non ci sono riuscita. Mi sono arresa troppo presto, oppure ti ho abbandonata per inseguire obiettivi che non mi hanno portata a niente… e ho fallito… volevo aiutarti, ma ho scelto la strada sbagliata. Se hai fatto la fine che hai fatto, la colpa è anche mia. Ed ora sono qui per pagare.”

La nave si stava inabissando più in fretta di quanto Sara non si aspettasse, e le prime onde bagnavano ormai la superficie del ponte.

“Papà… mamma… io lo so, che ci siete ancora e che siete là fuori, da qualche parte. Volevo dirvi che mi dispiace per tutto il dolore che ho provocato a voi, a Laura e a Paolo. Non avrei voluto farlo. Non avrei dovuto farlo, e ho fallito anche come figlia. Spero solo che senza di me, possiate stare meglio. Vi voglio bene.”

Pronunciate queste semplici parole di addio nei confronti delle persone più care, si distese supina sulla superficie di lamiera, in attesa che la Estrella del Mar sotto di lei si inabissasse. Nel decidere della propria sorte, l’unico riguardo che si era concessa fu quello di non condividere la tomba con i criminali che aveva appena spedito all’inferno, preferendo affogare o morire d’ipotermia lontano dalla nave, ovunque le onde l’avrebbero trascinata. Presto entrò in uno stato di semi-incoscienza simile al sonno, che non le permise di accorgersi che l’inabissamento della nave era ormai completo. Lo capì solo quando l’acqua dell’Atlantico cominciò a lambire i contorni del suo corpo e la prima onda la trascinò con sé per qualche metro, allontanandola dal relitto. Si lasciava galleggiare, ma non aveva alcuna intenzione di iniziare a nuotare, totalmente indifferente a quelle onde che rischiavano di sommergerla. Sperava anzi che facessero alla svelta, così da non soffrire troppo; in breve, il freddo dell’acqua le intorpidì braccia e gambe, e sentì la fine avvicinarsi. Chiuse gli occhi e si rilassò, pronta ad accoglierla senza il minimo ripensamento.

 

All’improvviso, uno schizzo d’acqua le entrò nelle narici, facendola tossire. Rinvenne d’un tratto, iniziando a dibattersi e a muovere gambe e braccia senza nessuna coordinazione, come fosse in preda al panico. Il suo braccio e la sua mano destra impattarono contro qualcosa di solido, che lì per lì non riuscì a riconoscere. Subito la mano di Olga si strinse al suo avambraccio, e d’istinto, con le ultime forze, Sara contraccambiò la presa. La spia Russa fece forza con le gambe sul solido parapetto del suo natante, riuscendo all’ultimo istante a trascinarla a bordo. Entrambe finirono a terra, sul ponte del grande motoscafo che aveva noleggiato. Olga la coprì subito con il suo corpo per provare a scaldarla, e le prese le mani con l’intento di sentire il polso. Non era troppo tardi, ma non era ancora il momento di cantar vittoria.

“Sei una Valchiria?”, balbettò Sara tutta tremante, avendo riconosciuto dell’amica solo il sesso femminile, la bellezza divina ed i capelli biondissimi.

“Non ancora”, sorrise Olga, baciandole il dorso della mano. “Le Valchirie sono per i morti. Tu sei viva, Sara.”

“Sara doveva morire. Non è giusto…”

“Allora lascia che affondi con quella nave”, ribatté la Slava. “Hai ancora molte cose da fare, molte soddisfazioni da prenderti, molti successi da ottenere. Tutto cambierà, da oggi in avanti. Oggi inizia la tua nuova vita, ed io sarò al tuo fianco. Sempre.”

Si sentì investire da una sensazione di tepore, di speranza, di ottimismo, e sentì rinascere la propria voglia di lottare. Abbozzò un timido sorriso: “Il suo è un nome che non voglio più sentire”, sussurrò. “Me ne serve uno nuovo.”

Olga annuì: “Ti aiuterò a sceglierlo. Che ne dici di… Olesya?”

“Alessia?”, ripeté lei, trasponendolo in italiano. “Alessia Agostini da Varese… suona bene!”

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