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CAPITOLO 3 – Screaming for Vengeance

 

Nel tentativo di spiegarsi come mai la Mjolnir più potente mai esistita, messa davanti alla possibilità di decidere quale Confraternita guidare, avesse scelto proprio una Confraternita piccola e sgangherata come quella Olandese, Olga aveva formulato una gamma di ipotesi molto vasta, eppure una cosa del genere non le era mai nemmeno passata per l’anticamera del cervello. La donna che aveva di fronte in quel momento, praticamente una semi-dea invincibile, immortale e non soggetta all’invecchiamento, aveva perso una vecchia amica, ed ora se ne stava accovacciata sul tetto di un edificio in una città che probabilmente odiava, ma in cui aveva scelto di trasferirsi per un motivo che la Russa non riuscì a definire con un termine diverso da amore. Un sentimento almeno tanto intenso, quanto lo era la sofferenza che adesso le stava straziando il cuore.

L’essere umano prese di nuovo il posto della fredda spia, e Olga ne fu profondamente colpita. Istintivamente prese ad avvicinarsi a Sara con passi lenti e silenziosi, quasi che non la volesse disturbare. Si sedette al suo fianco, le prese delicatamente una mano e le disse: “Non sono brava con le parole, ma sono con te, sorella mia. Sfogati.”

L’Italiana l’abbracciò forte, nascondendo il volto tra la spalla sinistra ed il collo di Olga. Continuando a singhiozzare prese a gridare dapprima di dolore, poi di rabbia, soffocando le urla nei vestiti della Slava, finché le carezze di quest’ultima ed il tepore del suo corpo non riuscirono a calmarla. “Ora lo sai, perché sono venuta proprio qui. Missione compiuta, soldato”, ribadì Sara con amaro sarcasmo, evitando lo sguardo della spia.

“Stavo meglio quando non lo sapevo”, rispose lei. “Ma per me non è ancora arrivato il momento di lasciarti da sola, se è questo che intendevi dire… e poi, non è mai stata solo una questione di missioni.”

“Chi ti manda, Olga? Cosa volete da me?”

“Ho giurato di non fare nomi, ma non sarei qui se non condividessi pienamente l’obiettivo che si sono posti i Mjolnir per cui lavoro”, disse la spia. “E per ora non ci sono progetti concreti… volevamo solo capire meglio che persona sei.”

“Che persona sono? Una persona di merda, ecco quello che sono”, ringhiò Sara, contro sé stessa. “Una che dopo essere diventata immortale non esita un istante a spezzare il cuore dei genitori, dei fratelli e degli amici, si finge morta e volta loro le spalle per sempre, senza nemmeno lasciare una possibilità di rimediare. Una che per un prestigio personale che non le verrà mai riconosciuto, accetta una missione del cazzo come quella dalla quale siamo appena tornate ed abbandona la sua migliore amica nell’unico momento in cui aveva davvero bisogno di lei. Una che da tre anni passa quasi tutto il suo tempo da sola, come un cane, meritandoselo pure. Questa è la persona che sono.”

Olga scosse il capo in orizzontale, fissandola negli occhi azzurri: “Non è vero, e lo sai. Sei solo arrabbiata con te stessa, ma così non otterrai niente.”

“Nella vita non ho mai ottenuto niente”, la corresse lei. “Nemmeno essere diventata una Mjolnir mi ha aiutata. Sono stanca, Olga, e non voglio più continuare. Quindi dì a chi ti ha mandato di non contare su di me. Vi auguro buona fortuna, ma… non voglio rovinare anche questa vostra iniziativa.”

“Adesso straparli”, le fece notare la Russa, “ma è normale. È ancora troppo presto, Sara…”

Lei scosse il capo, lenta, risoluta. “Sara ha fallito, e deve morire. Ma ha ancora un po’ di gente da mandare all’inferno, prima di finirci anche lei.”

 

Estremamente preoccupata dalla penultima frase pronunciata dall’Italiana, l’ex spia sovietica aveva deciso di prolungare ancora di qualche giorno la sua permanenza ad Amsterdam, con il pretesto di aiutarla a realizzare il suo piano di vendetta. Inizialmente Sara aveva cercato di dissuaderla, ma dovette ammettere di aver a che fare con un osso duro: le aveva ripetuto talmente tante volte di levarsi dalle palle che alla fine si stancò di farlo, ma lei era ancora lì e ci sarebbe rimasta. A quel punto, tanto valeva approfittare del supporto che le offriva.

Nel cuore della notte, si sedettero attorno al tavolo del salotto di casa Agostini ed aprirono una bottiglia di whiskey, rileggendo in maniera più attenta e approfondita il giornale comprato da Sara.

Diceva che Francesca era stata ammazzata cinque giorni prima, che era stata ritrovata la mattina successiva e che i suoi genitori, subito avvertiti, erano già accorsi dall’Italia per organizzare il funerale, che si era già tenuto. Nonostante Francesca avesse espresso più volte questo desiderio in vita, la sua salma non era stata cremata, ma seppellita in un cimitero a pochi chilometri dalla città olandese, ufficialmente per rispondere ad una precisa richiesta delle autorità, nel caso ci fosse stato bisogno di riesumarla per ulteriori esami autoptici. Il sospetto di Sara, però, era che i genitori non avessero trovato il coraggio di farla trasportare e seppellire in Italia.

“Che ne sai? Magari è anche un problema di soldi”, provò a difenderli Olga. “Operazioni del genere costano migliaia di euro…”

“Certo, come no?”, rispose l’Italiana, in tono amaramente sarcastico. “Peccato che negli anni Francesca ne abbia messi da parte molti di più. Qui c’è scritto che solo in casa ne aveva più di ventimila in contanti, e so per certo che aveva anche un conto in banca con un saldo di tutto rispetto. Quelli invece, non hanno avuto nessuna vergogna a prenderseli…”

Con l’amaro in bocca, Sara riprese a leggere. Grazie ad alcuni filmati della videosorveglianza del quartiere a luci rosse e ad alcune testimonianze raccolte nelle ore immediatamente successive al delitto, la Polizia olandese aveva già concluso le indagini, indicando con assoluta certezza il nome dell’assassino. La soglia di attenzione sua e di Olga si rialzò improvvisamente: “Come hanno fatto, in così poco tempo?”, si chiese.

Come Sara aveva già appreso, l’indiziato era un marinaio argentino che lavorava su un mercantile ancorato al porto. L’avvenenza di Francesca, non ancora del tutto sfiorita a causa dell’abuso di droghe e del suo stile di vita sregolato, lo aveva attratto in maniera irresistibile; i testimoni avevano riferito di aver visto i due discutere animatamente e ad alta voce, in un misto di lingua spagnola, italiana e inglese, perché Francesca era ormai a fine turno, diceva di essere stanca e di voler andare a casa a riposare. Ma il marinaio aveva insistito a lungo per avere un rapporto con lei, arrivando ad estrarre dal portafogli una notevole quantità di denaro in contanti e persino alcune palline bianche, noncurante dei passanti che osservavano la scena esterrefatti, del rischio di subire una rapina o di attirare attenzioni indesiderate da parte delle forze dell’ordine.

L’ipotesi degli investigatori, confermata da tre testimoni oculari e dai rilievi della Polizia scientifica, era che la vittima avesse finito per farsi tentare dalla prospettiva di poter guadagnare in poche ore diverse centinaia di euro, per di più sniffando cocaina a volontà, come amava fare; e difatti, raccontava il giornale, l’appartamento in cui era stata ritrovato il suo corpo non presentava alcun segno di effrazione, e anche i suoi soldi, di cui l’assassino non sapeva nulla, erano tutti ancora lì.

Olga scosse la testa come sconsolata, accendendosi una sigaretta. “Non riesco a capire come si possa scegliere di vivere così”, commentò a bassa voce, come se temesse che Sara la sentisse.

“È una lunga storia”, rispose l’Italiana. “E io l’ho vista cominciare, ma non ho saputo fare niente di efficace per impedire che la situazione degenerasse, né come umana, né come Mjolnir.”

“Beh, non solo tu. Nemmeno i suoi genitori, a quanto pare.” La Reggente d’Olanda evitò questa parte del racconto: si limitò ad un lieve cenno d’assenso e riprese la lettura del quotidiano.

Il cadavere di Francesca era stato ritrovato riverso a terra, nudo e ricoperto di liquido seminale. Il medico legale aveva trovato nel suo sangue grandi quantità di coca ed era stata ripetutamente stuprata sia prima, sia dopo il decesso, che era avvenuto per strangolamento. Sottoponendo il liquido seminale ad un esame del DNA, gli sbirri avevano trovato riscontro nel loro database incastrando l’omicida. Con lui le forze dell’ordine olandesi avevano già fatto conoscenza due anni prima, quando lo avevano arrestato per traffico di stupefacenti ed era stato denunciato per aggressione. In quell’occasione se l’era cavata con pochi mesi di carcere, al termine dei quali era stato liberato e poi allontanato dal territorio dei Paesi Bassi. Si chiamava Emiliano Rodriguez. Il giornale riportava persino una sua vecchia foto segnaletica in bianco e nero, che Sara ritagliò dalla pagina con un taglierino. La rabbia le fece tremare i polsi, tanto che rischiò di danneggiare il resto del foglio, rendendolo illeggibile.

Rodriguez era comunque riuscito ad allontanarsi dal luogo del delitto senza essere fermato, e se ne era tornato al sicuro a bordo della sua nave, la Estrella del Mar, dalla quale non era mai sceso nemmeno nei giorni successivi. Così facendo, si era messo al riparo dalla giustizia olandese, che non aveva ottenuto dal Comandante della nave il permesso di salire a bordo. Secondo il diritto internazionale, infatti, un’imbarcazione è da considerarsi territorio del Paese del quale batte bandiera, e quindi per la legge era come se l’assassino si trovasse in Argentina, dove i poliziotti olandesi non potevano arrestarlo. Definendola “una clamorosa beffa”, il giornale sosteneva che la nave sarebbe rimasta ormeggiata al porto di Amsterdam per altri tre giorni, al termine dei quali sarebbe salpata verso il Sudamerica con l’assassino a bordo sano e salvo, senza che la Polizia potesse farci nulla.

“Se non fanno salire gli sbirri, sicuramente non è solo perché vogliono proteggere un connazionale da un’accusa che ritengono ingiusta. Ci dev’essere un altro motivo”, rifletté Olga. “Se fossero persone oneste, lo avrebbero già consegnato agli olandesi.”

“Che vuoi dire?”, chiese Sara, asciugandosi le ultime lacrime.

“A questo punto, non credo che loro abbiano portato solo carne di mucca, da questa parte dell’Oceano. Da dove proviene la cocaina che hanno trovato gli sbirri?”

“Beh, in questo schifo di città la droga si trova dappertutto, purtroppo”, rispose l’Italiana, beccandosi un’occhiataccia della spia. “Ma tu credi che gli argentini se la siano portata da casa.”

“Da. Bisognerebbe fare un giretto su quella nave, solo per dare un’occhiata.”

 

Il mercantile sudamericano non fu difficile da riconoscere: in tutto il porto, era l’unico ad essere piantonato anche a notte fonda da una pattuglia della Polizia olandese. Gli agenti avevano l’incarico di controllare i documenti ad ogni membro dell’equipaggio sia che stesse salendo, sia che stesse scendendo dalla nave, per assicurarsi che fra loro non ci fosse l’assassino e per arrestarlo, nel caso in cui fosse stato tanto stupido da provarci. Ma per Sara e Olga la loro presenza non rappresentava altro che un intralcio. “Organizziamo un diversivo”, propose Olga. “Io attiro gli agenti lontano dalla loro postazione, e tu al momento giusto sali sulla nave.”

“No. Voglio che saliamo tutte e due: tu sei un’investigatrice sicuramente più abile di me”, rispose Sara. “È una nave molto grande: una volta trovato quello che cerchiamo, dovrai aiutarmi a trovare anche un posto dove nascondermi, finché sarà il momento giusto. Poi scenderai, domani tornerai a Mosca, e non dirai niente a nessuno.” La Russa osservò un istante di silenzio, ricordando ciò che la Reggente d’Olanda le aveva detto nel pomeriggio. “Karasciò”, si limitò a dire, annuendo. Aveva capito: quella frase, quella che l'aveva tanto colpita... non era stata una metafora.

Erano quasi le due del mattino quando si immersero nelle gelide acque del porto di Amsterdam. Non avendo alcuna possibilità di raggiungere la nave tramite il molo, specie a quell'ora della notte, avevano dovuto optare per una soluzione più radicale. Partirono da un molo sgombro da navi, situato ad un migliaio di metri più a sud, che avevano raggiunto a piedi, e cominciarono a nuotare, avvicinandosi al bastimento su cui era imbarcato il loro obiettivo.

Raggiunto lo scafo, scelsero un punto che fosse poco in vista sia dal molo, sia dal ponte, per iniziare la scalata con l'ausilio di due paia di strane ventose che avevano portato con sé sin dalla riva, in previsione di dover compiere una simile impresa.

Arrivare in cima a quella parete liscia e scivolosa non fu semplice, e ci volle più tempo di quello che aveva richiesto la nuotata; eppure non si verificò alcun intoppo, e poco dopo le due e trenta Sara e Olga misero piede sul ponte.

“Lasciale qui”, mormorò Sara alla sua compagna d'avventura, riferendosi alle sue ventose. “Ti serviranno ancora, quando te ne andrai.” La Russa le abbandonò a mezzo metro dal bordo dello scafo, ed una volta completata l'operazione prese a guardarsi attorno, per memorizzare il luogo dove le avrebbe ritrovate. Le sue invece, Sara le gettò in acqua, una quarantina di metri più sotto, sperando che nella caduta non avrebbero prodotto troppo rumore.

Senza perdere altro tempo, si nascosero nello spazio lasciato vuoto fra una cassa di legno e una di metallo. Lì, al riparo da sguardi indiscreti, poterono sfilarsi dalle spalle gli zaini impermeabili che si erano infilate in spalla, e ne estrassero ciascuna un paio di calzari con le suole di gomma, una cintura con fondine e caricatori già pronti all'uso e due pistole a testa con i relativi silenziatori, che si attardarono un poco a montare. “Usale solo se sei in pericolo di vita”, si raccomandò Sara, fissandola negli occhi color foglia. “Se hai ragione, li voglio tutti per me. È chiaro, Olga?”

La spia Russa annuì. “Tu portamene via uno senza un buon motivo, e te ne tornerai a Mosca in un sacco nero, quant'è vero Iddio”, rincarò la dose l'Italiana, con gli occhi iniettati di sangue. La Slava annuì nuovamente, senza controbattere. “Andiamo.”

L'ispezione della nave ebbe inizio. Come due ombre, l'Italiana e la Russa si muovevano nella sua pancia, limitando al minimo i rumori e le parole. A quell'ora, tutti i membri dell'equipaggio stavano riposando nelle loro cabine, salvo quelli che avevano deciso di trascorrere la notte in città. I corridoi della zona alloggiamenti, perciò, erano quasi del tutto sgombri. Le uniche eccezioni erano rappresentate da qualche marinaio sonnolento che di tanto in tanto si alzava dalla branda per andare a pisciare, lasciando aperta la porta della sua cabina.

In un'occasione, Sara decise di prendere la palla al balzo e vi sgattaiolò dentro, dando luogo ad una breve perquisizione e lasciando la spia sovietica a guardarle le spalle. Entrando nella cabina, non fu tanto il disordine estremo che vi governava a colpirla maggiormente, né il puzzo di sudore e marciume stantio che vi si respirava, quanto la quantità e la varietà di buste di plastica disseminate qua e là, che contenevano ogni genere di droga. Dai funghi allucinogeni alla cocaina, dall'hashish alle pasticche, e Odino solo sapeva che altro.

“Questi non si limitano ad importare in Europa quella merda bianca”, sibilò Sara, con un fremito di ira e disgusto. “Questi la scambiano con tutto quello che il mercato offre qui...”

“Dobbiamo andare”, la avvertì Olga. “Sta tornando.”

Le due Mjolnir fuggirono via, nascondendosi dietro un angolo per poi fermarsi a guardare il marinaio che rientrava al suo posto, senza sospettare di nulla. “Cazzo!”, esclamò ad un tratto Sara, con un cenno della testa. “Guarda là, nell'angolo.” Appesa ad un supporto fissato sul soffitto, spuntava una telecamera da videosorveglianza.

“Sì, vista. Ma tu non preoccupa: allarme non suona, Olychka presto disattiva sistema. Vieni.”

Le navi, sia quelle militari, sia quelle mercantili, erano tutte simili: nonostante venisse da una Nazione più di terra che di mare, Olga poteva vantare a riguardo una certa esperienza. Furono quest'ultima o forse il suo istinto a portarla ad imboccare in salita una stretta scalinata di metallo, al termine della quale si trovava un minuscolo pianerottolo con una porticina chiusa. “Qui dietro ponte di comando”, annunciò freddamente, quando Sara la ebbe raggiunta. “Io adesso apre porta, e se dentro qualcuno, tu uccide.”

“Non adesso, Olga!”, protestò l'Italiana, mentre la spia già frugava nel suo zainetto, per recuperare i suoi attrezzi da scasso.

“Loro visto noi!”, ribatté la spia, in un tono che non ammetteva repliche. “Comunque lì nessuno, altrimenti allarme già suona. Solo, sta' pronta!”

Un cenno di assenso di Sara, e la porta si spalancò. Olga aveva ragione: la sala era deserta. Sara si mise di guardia tra la porta e il pianerottolo, lasciando che la Russa si mettesse al lavoro; ci mise poco più di un quarto d'ora, ma alla fine il sistema d'allarme non avrebbe più potuto suonare, la radio ed i sistemi di emergenza erano fuori uso, mentre il sistema di videosorveglianza non avrebbe mostrato altro che la replica di immagini di repertorio, riprese nel periodo di navigazione precedente. Prima di lasciare la sala, guardò l'orologio: erano le tre e venti, e mancavano poco più di due ore al risveglio dei primi addetti.

“Padiom”, disse la Russa, con il gesto tipico di chi voglia farsi seguire. “Manca ancora parte più importante.”

Veloci e silenziose come gatti, scesero scale, attraversarono ponti, porte e gallerie, fino ad arrivare alla stiva, un magazzino di dimensioni talmente vaste, che era persino difficile credere di poterlo vedere all'interno di una nave. In ogni angolo erano stipate ogni genere di merci, dai complementi d'arredo ai vestiti, dal metallo alla plastica, da macchinari di ogni genere fino alle attrezzature per mantenerli in funzione. “Come facciamo a trovare quello che cerchiamo, in tutto questo casino?”, domandò Sara, forse più a sé stessa, che non ad Olga.

“Basta cercare posto dove tengono cosa portato qui loro”, si strinse nelle spalle la spia. “Loro cosa porta in Evropa?”

“Carne, principalmente”, rispose Sara. “Carne di manzo. E la carne è un bene deperibile...”

“Allora, dove holodilnik?”, sorrise la Russa, annuendo.

“Che?”

“Freddo-armadio, bljat, come dice in tedesco?”, chiese Olga, fingendo di perdere la pazienza.

“Ah, il frigorifero!”, esclamò la Reggente d'Olanda. “Credo sia laggiù in fondo”, aggiunse divertita, ma cambiando subito espressione. “Ma perché credi che la droga sia nascosta proprio lì?”

“Perché quando loro porta qui, nasconde in mezzo a carcasse intere di animali”, rispose la spia. “Se polizia fa ispezione, nessuno va a controllare dove c'è polmoni o intestino di mucca, e cani antidroga... sola capisci, non può toccare. Loro sentono odore di carne, pensa a mangiare. Cane è cane.”

“In effetti, questo ha un senso”, ammise l'Italiana, scuotendo la testa rossa. “Questi bastardi possono usare come scusa anche l'igiene... incredibile. Ma perché pensi che nascondano la droga proprio lì, anche quando stanno per fare il tragitto inverso, come adesso?”

“Io non detto questo”, si strinse nelle spalle Olga. “Detto che quello punto di partenza. Se noi lì non trova nulla, magari nascosta in altro posto. Solo pensato a comodità.”

E invece, ancora una volta Olga ci aveva visto giusto. Raggiunte le immense celle frigorifere, le aprirono e vi entrarono, non potendo fare a meno di notare come fossero stipate in ogni angolo di oppiacei, marijuana, sacchi con migliaia di pastiglie, acidi ed altri veleni, pronti a lasciare l'Europa per il mercato argentino. I trafficanti, o chiunque li avesse stipati lì in quel modo, non si erano nemmeno presi il disturbo di nasconderli bene, magari occultandoli dietro ad alcuni scatoloni che – a giudicare dalle scritte che riportavano – contenevano medicinali.

“Ho visto abbastanza”, disse Sara dopo pochi istanti, rabbrividendo dal freddo. “Possiamo andare. Ora trovami un posto dove mi possa nascondere. Se vuoi, prendi e porta con te tutti i soldi che trovi e poi abbandona questa nave. Dimenticati di esserci mai salita, dimentica tutto ciò che hai visto, e dimenticati anche di me, perché questo è un viaggio dal quale Sara Agostini da Varese non tornerà più.”

Olga la ricondusse su per lo stesso percorso che avevano affrontato all'andata, fino alla plancia di comando della Estrella del Mar, dove si trovava un armadio a muro abbastanza grande da poter contenere l'amica. “Sei proprio sicura di voler morire qui?”, le chiese, una volta che lei vi fu entrata. L'Italiana annuì senza parlare, controllando un'ultima volta che le armi fossero pronte a far fuoco, prima di rimanere del tutto senza luce. “Allora buona fortuna, sorella mia”, le disse, con le lacrime agli occhi. Si strinsero per un'ultima volta l'avambraccio, poi chiuse la porta e se ne andò, silenziosa e rapida come era arrivata.

Sara si ritrovò sola e chiusa in quell'armadio, che conteneva grandi quantità di armi, e che per questo teoricamente lei ed Olga avrebbero dovuto trovare ben chiuso esso stesso, anziché solamente reso inaccessibile tramite la porta d'ingresso della sala; evidentemente però, vista la natura del carico che trasportavano in stiva, Capitano ed equipaggio avevano voluto tenersi pronti ad ogni evenienza, nel caso in cui gli sbirri olandesi fossero venuti a ficcare il naso dove non dovevano. Invece, per loro fortuna, questi non si erano rivelati poi così smaniosi di sfidare giudici, ambasciate ed organismi sovranazionali per fare giustizia di una prostituta, che per di più non aveva nemmeno la loro stessa cittadinanza; e per quanto riguardava il traffico di droga, probabilmente nemmeno sospettavano nulla.

“A saperlo, mi sarei risparmiata di portar dietro questi due ferri vecchi”, pensò, sedendosi a terra con la schiena appoggiata ad una scaffalatura. Non mancava molto all'ora della sveglia, e da quel momento sarebbe stata una mattinata frenetica: sbrigate le ultime pratiche ed ottenuto il permesso da parte della Capitaneria di Porto, il mercantile avrebbe lasciato le coste europee per far rotta verso il mare aperto, ma un bestione simile si sarebbe mosso molto, molto lentamente.

Sara ebbe tutto il tempo di studiare il suo piano sin nei minimi dettagli: per il momento, nessuno sarebbe venuto a disturbarla lì, nel suo nascondiglio. Gli argentini erano ormai sicuri che sarebbero stati lasciati partire, e non ci sarebbe stato alcun bisogno per loro di mettere mano alle armi. Semmai, pensò, tutto quel ben di Dio poteva tornar loro utile una volta che si fossero trovati dall'altra parte dell'Oceano, dove sarebbe stato più facile incontrare... come definirli?... pirati? Per un attimo le scappò da ridere, e pensò per qualche motivo al sempre verde paragone tra i Mjolnir e i vampiri. Sì, insomma, lì sarebbe stato più facile per loro incontrare imbarcazioni condotte da criminali senza scrupoli, intenzionate ad assaltare il bastimento per impadronirsi della merce che trasportava. In ogni caso, il problema non si poneva, perché quella nave, le coste del Nuovo Continente non le avrebbe riviste mai più.

Ed eccolo arrivare, finalmente, il capo di quei figli di puttana. Di buon mattino, berciando in uno spagnolo ben poco comprensibile, il Capitano impartì gli ultimi ordini ai propri sottoposti, prima di levare l'ancora ed accendere i motori. Da dietro la porta, Sara lo udì comunicare con la Capitaneria in un inglese ancora meno chiaro, finché tutto non si risolse in un “Okay, thank you very much”, che fece da preludio ad un forte scossone e ad un principio di rollio della mastodontica imbarcazione. Il viaggio era cominciato, ma per Sara non era ancora giunto il momento di entrare in azione: per il momento doveva starsene ancora buona, rintanata lì dove si trovava, ad aspettare.

 

 

CONTINUA….

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