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Ricorda Chi    Sarai

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 2 – Casa, amara casa

 

Il viaggio era stato piacevole: sedute l'una a fianco all'altra, Sara e Olga avevano trascorso circa due ore a scambiarsi opinioni, pettegolezzi e commenti sui Confratelli più chiacchierati, ma anche punti di vista non proprio lusinghieri sul Comitato di Comando e sul fatto che di recente, in più di un'occasione, non si fosse dimostrato all'altezza dell'importanza del suo ruolo. Sara cercava di non sbilanciarsi troppo, ma i giudizi della Russa erano sempre piuttosto severi, tanto che due o tre volte la Reggente d'Olanda ringraziò il Cielo di aver spento il proprio cellulare prima della partenza, e si preoccupò che Olga avesse fatto altrettanto.

“Dammi tuo telefono”, disse la Slava, tendendo una mano verso la compagna di viaggio, che esitò per qualche istante, prima di obbedire. Olga rimosse con delicatezza il coperchio posteriore, la batteria e la carta sim, esaminando accuratamente il contenuto dell'apparecchio. “Tu ha comprato da sola, o è telefono di Confraternita?”

“No, è mio. L'ho comprato in un normalissimo negozio.”

“Mai perso, poi ritrovato? O magari dato qualcuno per riparare?”, chiese ancora Olga.

“No, mai”, scosse il capo l'Italiana.

“Qui niente. Telefono pulito”, annunciò la Russa, iniziando subito a rimontarlo. Quando finì, lo restituì alla proprietaria: “Niente paura”, disse, con un sorriso.

“E tu come fai a saperlo?”, bisbigliò Sara, un po' perplessa.

“È mio lavoro. Nu, lo era prima di morso. Prima di morso, io spia di Ka Ghe Be.”

 

“Non ti andrebbe di uscire a fare una passeggiata? Questa città è molto bella in questo periodo dell’anno. Dovresti darle una seconda possibilità”, disse Sara.

“Solo se tu viene con me”, rispose Olga. “Non amo girare per strada a caso.”

“Beh, allora dovrai aspettare. Uscirò dopo il tramonto”, disse la padrona di casa. “Adesso non posso: ho delle faccende da sbrigare.”

“Nu, okay. Prometto che io non ti disturba”, sorrise la Russa, alzando due dita, nell’imitazione di un giuramento da boy scout.

“D’accordo, allora. Tu fa’ pure come fossi a casa tua: non voglio che t’annoi.” Olga si alzò dalla tavola ringraziando Sara per il gustoso pranzo che le aveva preparato, prima di iniziare un breve tour esplorativo della sua grande casa.

Dopo solo una ventina di minuti tornò nel salotto, dove Sara stava lavorando seduta al suo computer. Come aveva promesso non la disturbò, ma estrasse in silenzio un libro da uno scaffale avendo cura di sceglierne uno in lingua tedesca, e si accomodò su una poltrona alle sue spalle, iniziando a leggere, o di far finta di farlo. Più frequentemente di quanto non voltasse pagina, gettava occhiate sulla padrona di casa, che continuava a lavorare dandole le spalle, senza mai badare alla sua ospite. Lo schermo del suo PC mostrava grafici e tabelle, piene di numeri e percentuali; con tutta evidenza, Sara si stava occupando della gestione delle aziende delle quali era proprietaria, quelle che le garantivano un tenore di vita così alto. La missione alla quale avevano partecipato l’aveva distratta dal suo lavoro per più di una settimana, e anche a giudicare dal ritmo col quale lavorava, aveva accumulato una discreta quantità di incombenze arretrate.

“Mi spiace, i miei libri sono quasi tutti in italiano”, le disse ad un certo punto, alzandosi per una pausa e stiracchiandosi. “Tranne quello che hai in mano e pochi altri. Ti starai annoiando a morte.”

“Ma no, un ripasso della storia dei Mjolnir fa sempre bene. Sai, col passare dei secoli, un Mjolnir rischia di dimenticare con chi è costretto ad avere a che fare ancora oggi”, rispose Olga, in un tedesco perfetto e privo di accenti, che fece aggrottare le sopracciglia a Sara. La Russa sorrise, tornando ad abbassare gli occhi verdissimi sulle pagine del libro: “Il mio tedesco sgrammaticato fa parte del personaggio che mi sono costruita. In realtà, lo so parlare tanto bene quanto tutti voi: è solo che trovo più comodo esprimermi come faccio di solito, quando devo pensare ed agire velocemente.”

La Reggente d’Olanda sorrise di rimando: “Dovevo immaginarlo. Una spia Russa, che non parla un buon tedesco… non era credibile.”

Olga chiuse il libro con un rumore sordo e s’alzò di scatto dalla poltrona, con un sorriso autoironico: “Non avrai pensato che io sia venuta qui per fare il mio lavoro, spero…”

“No, non ci avevo nemmeno pensato, sinceramente… ma non solo lo stai facendo: me lo stai pure dicendo apertamente”, le rimproverò Sara, cambiando espressione. “Bah, fa’ pure, tanto non ho niente da nascondere. Come hai visto, mi guadagno da vivere lavorando onestamente, e i dipendenti di tutte le mie aziende ricevono salari adeguati e dignitosi. Rispondo agli ordini del Comitato di Comando anche quando non li condivido, e tratto i Mjolnir che comando come vorrei essere trattata io…”

“È proprio questo il punto”, annuì l’ex spia sovietica. “Se qualcuno ti spia, non sempre ha cattive intenzioni. Magari ha intravisto in te delle qualità che altri non hanno, e vuole solo essere sicuro di non aver preso un granchio.”

“Olga, non ho la minima idea di chi ti abbia dato questo compito, ma se c’è lo zampino di Nikita Pavlovich…”

La Slava la interruppe, scuotendo la testa: “Il mio Maestro non c’entra.”

“Beh, chiunque sia stato… non so cosa pensa che io possa fare, ma riferiscigli che non mi interessa, e che sto bene dove sto. Non ho intenzione di fare le scarpe a nessuno.”

“D’accordo, non ti scaldare”, cercò di tranquillizzarla Olga. “Voglio solo cercare di capire cos’è che ti tiene ancorata a questa Comunità così piccola, quando avresti tutte le carte in regola per guidarne una molto più grande ed influente.”

Sara si volse verso la grande porta-finestra del soggiorno, ed assunse un’espressione assente. Il Sole stava già tramontando: “Lo scoprirai molto presto.”

Per la sua prima parte, la loro uscita serale assomigliò ad una semplicissima passeggiata fra amiche, solo più silenziosa di quanto non sarebbe stata senza la conversazione che si era tenuta in casa. Comprensibilmente, Sara non aveva gradito molto la notizia di essere stata resa oggetto di spionaggio, anche se con intenti positivi, ed era ancora arrabbiata con la sua ospite, ma non le veniva in mente né un modo per levarsela di torno senza causare troppi danni, né un vero motivo per cui avrebbe dovuto farlo, col rischio che a causa di ciò la sorveglianza su di lei si intensificasse, anziché diminuire.

Seguendola a due o tre passi di distanza su un marciapiede particolarmente stretto ed affollato, Olga la vide fermarsi d’improvviso, pietrificata davanti alla locandina di un giornale locale affissa fuori da un’edicola. Senza rivolgerle la minima attenzione, Sara entrò nel piccolo negozio e ne comprò una copia, uscendo subito ed iniziando a leggere. Era successo qualcosa di grave.

Istintivamente, prima di tornare a focalizzare l’attenzione su Sara, la spia Russa si guardò intorno, per assicurarsi che non stessero correndo un immediato pericolo; ma nel frattempo Sara aveva iniziato a correre a tutta velocità, schivando i passanti. Non stava scappando, e senz’altro sapeva bene che provarci sarebbe stato del tutto inutile vista la straordinaria potenza del suo Vril, che l’avrebbe ricondotta a lei come una falena alla fiamma. Aveva semplicemente fretta, e adesso ad Olga non restava che seguirla, ma non fu un’impresa facile. Dopo poche centinaia di metri sulla strada da dove erano partite, l’Italiana era entrata in un vicolo maleodorante, dove dopo essere salita sopra ad un paio di cassonetti dell’immondizia aveva scalato un muro, si era arrampicata sul cornicione di una finestra e poi aiutandosi con una grondaia aveva raggiunto il tetto di una casa. Da lì aveva proseguito verso il centro di Amsterdam, senza più porre un limite alla lunghezza dei suoi salti, alla velocità con cui correva o alle acrobazie che compiva, ormai libera dal rischio che occhi umani potessero vederla.

Olga riuscì a starle dietro, ma la raggiunse solo quando ad un tratto si fermò di sua spontanea volontà. Si era accucciata sul bordo di un tetto, con lo sguardo vitreo rivolto alla strada, e il vento che le scuoteva le ciocche rosse lasciate libere dal nastro fermacapelli. Aveva ancora il giornale in mano, e stava piangendo. La spia non osò avvicinarsi troppo, ma dalla sua posizione le fu comunque possibile vedere la strada: da sinistra a destra, una lunga fila di luci rossastre illuminavano una serie di strane, piccole vetrine, e sia la merce esposta, sia i clienti che passando si mostravano più o meno interessati, lasciavano ben pochi dubbi sulla natura delle compravendite in corso. Guardando meglio, Olga notò che una delle vetrine era spenta, e l’esercizio era chiuso.

“Laggiù lavorava la mia migliore amica”, spiegò Sara, con un filo di voce.

 

“Sì, è proprio questo il motivo che mi ha spinta a scegliere questa città”, confessò Sara. “Non condividevo la scelta di vita che aveva fatto Francesca, ma fino ad oggi ho sperato che in qualche modo l'avrei potuta salvare... mi sono illusa di poterla rendere un Mjolnir io stessa, o che potesse farlo qualcuno dei miei. Pregavo ogni sera che questo potesse succedere, ma non è servito a nulla”, aggiunse fra le lacrime, col cuore a pezzi. “E visto che non accadeva, ho pensato che almeno proteggerla, che difenderla, fosse mio dovere. E l'ho fatto! Ho cercato di farlo, ogni giorno, ogni notte, per tre fottutissimi anni della mia vita! Fino a quando non sono stata scelta per questa stupida missione in Spagna. Me lo sentivo! Me lo sentivo, cazzo, che non sarei dovuta partire, che avrei dovuto rifiutare l'incarico! Perché, Olga? Perché non l'ho fatto?”

“Sara, anch'io ci ho provato tante volte, sia prima il morso, sia dopo”, disse la spia. “Ma ho sempre fallito. Non puoi proteggere una persona da sé stessa.”

“Francesca non si è suicidata, Olga!”, ringhiò l'Italiana, ancora troppo scossa per poter capire il senso di quelle parole. “Non è da lei, che avrei dovuto proteggerla! Guarda!”, le gridò contro, lanciandole il giornale. Olga lo aprì cercando di ricomporlo in modo che avesse un senso logico, e provò a leggerlo: “Non capisco l'olandese”, disse con un filo di voce, scuotendo la testa.

“Dice che la Polizia ha ricostruito le fasi dell'accaduto con certezza, ed è vicina a concludere le indagini. Al porto c'è una nave argentina: a quanto pare, l'assassino è uno dei marinai. Tre giorni fa, quel porco e i suoi colleghi erano in libera uscita, e come è facile immaginare hanno deciso di venire qui nel quartiere a luci rosse, a spassarsela un po'. Un testimone ha visto quel bastardo insistere con Francesca, che però lo aveva respinto perché aveva finito il suo turno, era stanca e voleva tornare a casa. Il maiale l'ha seguita a piedi, offrendole cocaina e una grossa somma in contanti in cambio del resto della serata. Alla fine deve averla convinta, e quella stupida se lo è portato fin dentro casa, maledizione!”

Olga chinò il capo: “Mi dispiace.”

“Non è vero!”, esclamò l’Italiana, fuori di sé. “Non te ne importa niente! Questa è la realtà! Se non avessi saputo che era la mia migliore amica, di tutte queste cose te ne saresti sbattuta i coglioni! Quindi accontentati di aver ottenuto il risultato che volevi, e lasciami in pace!”

“Se lei non fosse stata la tua migliore amica, della sua fine te ne saresti sbattuta i coglioni anche tu”, le fece notare Olga. “Volevo dire che mi dispiace vederti in queste condizioni.”

 

 

CONTINUA…

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