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SCHIAVI O SIGNORI
Una Questione Morale
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“Una volta lo spirito era Dio, poi si fece uomo, e adesso sta diventando plebe.”

«Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi: è questo un fatto che ha le sue buone ragioni. Non abbiamo mai cercato noi stessi - come potrebbe mai accadere, un bel giorno, di trovarsi?»

La questione della moralità è un argomento centrale per la costruzione della filosofia Nietzschiana, che mette in discussione la morale, partendo dal presupposto che essa è sempre un valore imposto, un condizionamento che viene strumentalmente fatto passare come un’originale voce interiore, e invece ha un’origine esterna.

Le argomentazioni dei suoi studi implicano che i concetti morali che abbiamo ereditato dalla tradizione cristiana sono attualmente obsoleti ed inferiori ai loro predecessori pagani. Ma andiamo con ordine.

LA MORALE DEI SIGNORI

Il riferimento che lo guida è la società greco-romana dell’antichità, quindi prima della contaminazione culturale con l'ebraismo e del suo prodotto più riuscito, il cristianesimo. L'eroe omerico è l'uomo tenace, e nell'Iliade e nell'Odissea si trova la morale dei Signori teorizzata da Nietzsche. Infatti il filosofo definisce gli eroi "uomini di cultura nobile", dando un esempio sostanziale della moralità del padrone.

Questa società è creatura e creatrice di uomini forti e fieri che "dicono sì alla vita", ossia il loro agire è pienamente positivo e creativo, e in sé stesso è quella che chiama la morale dei signori.

Nell'identificare i valori appartenenti ai signori, Nietzsche muove la sua teoria dalla constatazione che tutte le società umane originarie fossero rigidamente suddivise in caste, e che l'appartenenza a ciascuna di esse fosse indice di un differente modus vivendi oltre che di differenti valutazioni morali. La casta dominante era quella dei guerrieri-sacerdoti, mentre quella dominata era in generale di quanti non avevano peso politico, spirituale o militare, e che Nietzsche riconosce piuttosto genericamente negli "schiavi".

I CARATTERI DEL “BUONO”, LO STIGMA DEL “CATTIVO”.

La morale aristocratica è rappresentata dalla contrapposizione di "buono e cattivo".

Nietzsche riflette sui valori di "bene e male" e "buono e cattivo", determinando che essi hanno due origini differenti, come il concetto di "buono", e di conseguenza “cattivo”, possiede al suo interno due significati radicalmente opposti, e il rapporto “buono – cattivo” è una relazione pragmatica.

Coerente con l’etimo dei due termini che vede “buono” derivante dal latino bonus che a sua volta deriva dal più antico duonus, e significa felice e splendere, e “cattivo”

derivante sempre dal latino captivus significa prigioniero, originariamente prigioniero di guerra che vive in stato di schiavitù, il filosofo pone l’attenzione su queste categorie morali per spiegare quello che ne deriva.

Infatti il “buono” originariamente era un concetto applicato alle azioni altruiste, in quanto utili a coloro che ne avrebbero beneficiato, quindi non tanto perché le azioni stesse fossero astrattamente e aprioristicamente buone in quanto tali, ma per l’effetto generato. Nel tempo le persone non hanno dimenticato le origini della parola, però hanno continuato a considerare le azioni altruistiche come buone in sé stesse, piuttosto che buone nei loro effetti. Il filosofo sostiene questo punto di vista come fallace, in quanto è una visione che ha dimenticato le origini dei valori, e che conseguentemente definisce e identifica ciò che è “buono” come “utile” per abitudine, così come ciò che è utile è sempre stato definito genericamente “buono”. Sbagliando, questo approccio semplifica l'utilità come la bontà, e li astrae a valore. Nietzsche continua spiegando che allo stato arcaico, "il valore o il non-valore di un'azione è stato derivato dalle sue conseguenze", ma spiega che "non ci sono affatto fenomeni morali, ma solo interpretazioni morali dei fenomeni", ponendo al centro la chiave di lettura cosciente del fenomeno.

Al netto di ciò, per questi uomini moralmente determinati, gli aderenti della morale dei signori, il buonus è il nobile, forte e potente, e conseguentemente il captivus è il prigioniero, debole, vile, timido e piccolo.

Il buono quindi, nell'accezione aristocratica, è un individuo puro di mente e di cuore, pervaso di salute, audace e gioioso, costumato con i suoi pari ma indifferente alla condizione dei sottoposti che si sente in diritto di dominare.

L'essenza pratica della moralità del padrone è quindi la nobiltà. Le altre qualità presenti e distintive sono l'apertura mentale, il coraggio, la sincerità, la fiducia e un senso preciso di autostima. La moralità del signore inizia nel nobile con una naturale e spontanea idea del bene, scevra da imposizioni artificiose. Conseguentemente l'idea di una “cattiva morale” si articola come ciò che non è buono. "Il tipo nobile di uomo sperimenta sé stesso come determinare i valori, non ha bisogno di approvazione; giudica, affermando che "ciò che è dannoso per me è dannoso in sé".  La questione ovviamente non si concentra né si esaurisce nell’autoreferenzialità di facciata: egli, il nobile, sa di essere colui che concede l'onore e il valore alle cose, e questa è de facto la creazione dei valori. In questo senso, la morale dei signori è il pieno riconoscimento che il sé stesso è la misura di tutte le cose in quanto essere co-creatore consapevole della propria realtà. L’essere attivo nei confronti del mondo e dell’esistenza stessa diventa elemento determinante per l’aristos, il nobile, che nella scelta e nell’attribuzione del valore alle cose, ai gesti, all’esistente, ne determina la portata per ciò che lo circonda, e ne deriva quindi la sua responsabilità. Quindi, in termini generici, un elemento è utile all'uomo tenace nella misura in cui esso viene valorizzato dallo stesso uomo tenace. Perciò, l'uomo tenace valuta questo tipo di cose come delle cose buone.

I Signori sono quindi i creatori della moralità, mentre gli schiavi ne rispondono con la loro accezione morale, quella dello schiavo.

LA MORALE DEGLI SCHIAVI

Questa capacità umana di godere della vita e di attuare il "bene" in terra è però vista, all'altro capo della scala sociale, come un male.

I deboli, i captivi, infatti, interpretano l'agire dei Signori come il male per eccellenza: se la morale dei Signori è un agire creatore di valori, la morale del gregge, invece, è una morale di reazione guidata dal “ressentiment” verso i nobili e potenti.

Il”ressentiment”, parola francese volutamente tenuta in lingua originale dal filosofo tedesco, è l’emozione rancorosa provata dagli “oppressi”. Nell’accezione utilizzata da Nietzsche, è sinonimo di “risentimento” o meglio è una modalità particolare di risentimento: è l’immaginaria vendetta di coloro che non sono in grado di reagire all’oppressione con l’azione diretta, forte, violenta e spontanea. Il ressentiment è l’odio e il desiderio di vendetta provato da coloro che furono oppressi dalla nobiltà.

Questo discrimine allontana gli aderenti a tale moralità dalla valutazione di azioni basate sulle conseguenze concrete, a favore della valutazione delle azioni basate sull' "intenzione". Ciò che è buono, quindi, non è più ciò che porta un miglioramento concreto, ma l’intenzione di attuare un miglioramento, indipendentemente dal risultato, alimentando quindi un circolo vizioso di astrazione e di discostamento dalla realtà.

L'attacco che i deboli muovono al potere dominante consiste quindi nel rovesciare la scala dei valori e nel trasformare ciò che per i signori è buono in qualcosa di moralmente cattivo e sbagliato. Per attuare questa rivoluzione dal basso è però necessario giustificare il ribaltamento in atto.

Poiché la morale degli schiavi è una reazione contro l'oppressione, rende malvagi i suoi oppressori: è caratterizzata da pessimismo e dal cinismo che non permettono di vedere nell’altro un’ispirazione ma un errore da correggere: infatti non cerca di superare i padroni, ma di renderli anch'essi schiavi. L'essenza della morale degli schiavi è quindi l'utilità: il bene è la cosa più “utile” per tutta la comunità, non il forte e il puro.

In una descrizione storica di ciò che è realmente accaduto, Nietzsche cerca di indagare la psicologia di coloro che hanno concretizzato i cambiamenti della morale: i plebei che non potevano aspirare allo stile di vita della nobiltà, per estrazione come per natura, hanno creato il sistema di valori e deciso che cosa fosse bene e male.

Secondo la morale degli schiavi, la nobile visione della vita basata sul potere e sui valori dei guerrieri, era malvagia, quindi i maltrattati, i poveri e gli umili erano i buoni. Visto che i potenti sono numericamente inferiori rispetto alle masse dei deboli, questi ultimi ottengono il potere corrompendo i forti inducendo loro la convinzione che le cause della schiavitù - ossia la concretizzazione della volontà di potenza - sono un male, al pari delle qualità e delle conseguenti condizioni che originariamente non potevano scegliere a causa della loro debolezza. Dicendo che l'umiltà è volontaria e anzi è una qualità superiore, la morale degli schiavi evita di ammettere che la condizione di umiltà era una condizione subìta in quanto imposta loro dal Signore. Così i principi biblici come l’esaltazione dell'umiltà, la carità e la pietà sono il risultato dell'universalizzazione della condizione dello schiavo e della sua morale, su tutta l'umanità e quindi la conseguente riduzione in schiavitù dei padroni.

Il filosofo spiega in una sua metafora come gli agnelli decisero che i rapaci erano malvagi, al contrario i rapaci vedevano gli agnelli come animali buoni, loro fonte di cibo.” È assurdo”, dice, “negare coloro che sono potenti esorcizzando il loro potere chiamandoli malvagi”.

Nietzsche attribuisce questa “radicale rivalutazione dei valori dei nemici” agli ebrei e alla conseguente cristianità, chiamandola prima rivoluzione della morale compiuta dagli schiavi. La democrazia ne è la manifestazione politica, vista l’ossessione per la libertà senza responsabilità e per l'uguaglianza senza ragione.

«Gli ebrei hanno raggiunto quel miracolo di inversione di valori, grazie al quale la vita sulla terra ha, per un paio di millenni, acquistato un fascino nuovo e pericoloso. I loro profeti fusero il ricco, senza dio, malvagio, violento, sensuale in un unico concetto e furono i primi a coniare la parola mondo come un termine di infamia. È questa l'inversione di valori (con cui è coinvolto l'impiego della parola povero come sinonimo di santo ed amico) che risiede nel significato del popolo ebraico. Con loro si inizia la rivolta degli schiavi nella moralità.»

Senza accorgercene, abbiamo ereditato le conseguenze di questa rivolta, una rivolta che ha servito gli interessi degli oppressi e i loro (non) valori.

Nietzsche, nonostante ciò che può sembrare, non crede si debba aprioristicamente adottare la morale dei signori come un codice di comportamento: disse che la rivalutazione dei valori serve per correggere le incongruenze sia nella morale del padrone che in quella morale dello schiavo. Indubbiamente sostenne che la moralità del padrone era preferibile alla morale degli schiavi.

In ultima analisi per Nietzsche la questione più rilevante resta quindi il fatto che la morale non è qualcosa di determinato per sempre, piuttosto è una creazione umana e di conseguenza i termini morali hanno la loro storia e la loro evoluzione.

 

Storia che è influenzata dalla psicologia umana, nonché dagli interessi di diversi gruppi.

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