Il Mito di Asclepio

Le Radici dell’Europa affondano in Grecia. Dal pensiero filosofico ai valori fondanti che hanno influenzato regni e nazioni nel passato ed ancora oggi, passando per le arti come il teatro e l'architettura, tutto questo si è inizialmente sviluppato nell’antica Grecia, per poi propagarsi nel resto del continente ed evolvere col passare dei secoli. Anche la medicina nasce in Grecia, iniziando il percorso che da arte l’ha portata a diventare scienza.
Il padre della medicina è senza dubbio Ippocrate.
Prima di Ippocrate, era Asclepio a occuparsi della salute dei greci, insieme ai i suoi sacerdoti; infatti Asclepio era la divinità dedicata alla medicina.
Il mito ci dice che Coronide, figlia del re dei Lapiti, viveva in Tessaglia. Divenne amante di Apollo, il quale, dovendo recarsi a Delfi, la affidò ad un corvo dalle penne bianche perché vegliasse su di lei. Coronide però era da tempo attratta da Ischi, come lei di sangue reale, figlio del re del popolo degli arcadi. Durante l’assenza di Apollo, Coronide e Ischi consumarono la loro passione, benché la ragazza fosse già incinta di Apollo.
Il corvo, zelante, partì alla volta di Delfi per avvertire Apollo dell'accaduto, ma quando arrivò scoprì che il Dio era già a conoscenza del tradimento, grazie alle sue doti divinatorie. Il corvo fu quindi maledetto dal Dio per il suo fallimento, dato che non aveva tenuto lontano Ischi accecandolo a colpi di becco quando il giovane si era avvicinato alla giovane Coronide: le sue piume divennero nere e così furono quelle dei suoi discendenti.
Apollo confidò poi alla sorella Artemide il tradimento subìto. Artemide compì la vendetta per conto del Dio del Sole: svuotò la sua faretra, scagliandone le frecce contro la giovane.
Di fronte al corpo esanime dell’amante, Apollo fu preda dei rimorsi, e solo quando ormai la cerimonia funebre volgeva al termine e la pira stava venendo accesa ritrovò la prontezza di spirito. Chiamò Ermes, messaggero degli Dei, e con il suo aiuto diede alla luce dal corpo esanime di Coronide un bambino, prima che venisse bruciato insieme alla madre. Gli diede il nome di Asclepio, affidandolo a Chirone, il centauro maestro degli Eroi. Chirone insegnò al giovane Asclepio l’arte della medicina. Il centro del suo culto fu ad Epidauro, in Argolide. I suoi abitanti narrano che Asclepio ebbe come insegnante, oltre che Chirone, anche lo stesso Apollo, divenendo così abile nel maneggiare i ferri chirurgici e a somministrare erbe medicinali da essere considerato come il padre della medicina. E poteva anche andare oltre al guarire i malati, visto che era in possesso di due fiale di sangue estratto dalla Gorgone ricevute da Atena: somministrando il sangue proveniente dal lato sinistro, Asclepio poteva ridare la vita ai morti; con quella proveniente dal lato destro invece poteva dare morte istantanea.

Asclepio, Dio greco della Medicina
L’uso della fiala proveniente dal lato sinistro fece adirare Ade, che si vedeva sottrarre sudditi dal regno dei morti; si lagnò dunque con Zeus. Il padre degli Dei decise allora di colpire Asclepio con la sua folgore, uccidendolo con il suo paziente. Il gesto fece infuriare Apollo, che uccise i ciclopi che avevano forgiato la folgore guadagnandosi un anno di servitù presso un re mortale come punizione dallo stesso Zeus. Una volta scontata la pena, Apollo chiese a Zeus di tornare sui suoi passi, ed egli ridò la vita al nipote accogliendolo nell'Olimpo, compiendo così la profezia di Evippa, la figlia di Chirone: Asclepio sarebbe divenuto Dio, sarebbe morto e poi avrebbe riassunto la sua divinità. Ebbe due figli, Podalirio e Macaone, che furono i medici che assistettero i Greci durante l’assedio di Troia.

Costellazione dell'Ofiuco, il "tredicesimo" segno zodiacale
La sua statua, ad Epidauro, poggia la mano sinistra sulla testa di un serpente, lo stesso che, secondo i cretesi, gli indicò un’erba nei pressi di una tomba, di cui Asclepio si servì per ridare la vita a Glauco, figlio di Minosse. Il rettile è presente anche nella costellazione che raffigura Asclepio, detta dell'Ofiuco, raffigurante secondo la tradizione il Dio che tiene fra le mani un serpente; non a caso, la costellazione è anche chiamata Serpentario.
Interessante è il simbolismo del serpente. Simbolo ctonio, legato alla fase antica del mito, in cui Asclepio attingeva a poteri provenienti dal mondo dei morti. Questo carattere infero faceva sì che il culto del Dio potesse convivere con i culti di Demetra e Kore (Persefone) ad Eleusi, nelle vicinanze di Atene, condividendo gli stessi spazi sacri. Si credeva infatti che, oltre alla salute , ricorrendo ad Asclepio si potesse riacquisire la fertilità e, per i morti, la vita. Nella Grecia arcaica si riteneva che i serpenti fossero l’incarnazione delle anime dei sovrani. Enea, fondatore di Roma, deposita nella tomba del padre Anchise cibi sacrificali: era uso greco infatti spargere libagioni di latte nelle tombe per le anime dei morti reincarnate in serpenti.

Il serpente, data la muta della pelle, diviene simbolo di morte e rinnovamento. Inoltre, con il suo andamento a spirale e la flessuosità del suo corpo, che può si può racchiudere su di sé, diviene simbolo di ciclicità dell’esistenza (si pensi all’oroboro). Infine è il veleno del serpente ad avere una connessione con l’arte medica. Il confine tra veleno e farmaco è infatti labile: è nella quantità il segreto. Il veleno, in piccole dosi, può diventare una cura. Al tempo stesso, il farmaco, in quantità eccessive, può diventare un veleno.
Oroboro
Il serpente ha un ruolo centrale anche nell’iconografia relativa ad Asclepio. Nei templi si trovano infatti statue del Dio che pone la sua mano sulla testa di un serpente. Oltre a queste statue e ad un altare, si trovavano dormitori e locali destinati alla convivialità. Centrali nel rituale erano le terme, dove i pellegrini si purificavano prima di entrare nell’ábaton, la “zona inaccessibile” del tempio, dove si svolgeva il rituale centrale del rito di guarigione: il sonno sacro, indotto da rituali e pozioni preparate e somministrate dai sacerdoti.

Durante il sonno il Dio appariva, posando la mano sulla parte malata e al risveglio, spesso il paziente era guarito. Altre volte, durante il sogno, Asclepio dava indicazioni sulle terapie che il malato doveva seguire per raggiungere la guarigione.
Resti del tempio di Asclepio di Epidauro
Questo aspetto è stato a lungo studiato dai moderni psicanalisti, che hanno ripreso da questo rituale molti aspetti. I pellegrini, infatti, attendevano il sopraggiungere del sogno
Resti del tempio di Asclepio di Epidauro
giacendo nella Kline, che può essere tradotto come “letto” o “divano”, in generale luogo dove ci si corica.
Da kline derivano poi il moderno termine “clinica” e l’utilizzo del divano in psicoterapia.
La malattia, nella Grecia Antica, è qualcosa che esiste all’esterno del corpo umano, indipendentemente da esso. Diviene spesso mezzo della volontà divina, per punire gli uomini a seguito di una colpa di questi ultimi. È tipico delle società Tradizionali spiegare morte e malattie come risultato di un corpo esterno, come frecce, pietre, animali o spiriti entrati nel corpo di un mortale a sconvolgerne l’equilibrio. Si hanno testimonianze di ciò nella letteratura. Nell’Iliade ad esempio una malattia violenta si abbatte sul campo degli Achei, scagliata da Apollo sotto forma di frecce. È pressoché immediata la morìa di animali – muli, cavalli, cani – prima e uomini poi. Il termine con cui viene descritta è loimós. È una parola difficilmente traducibile, indica quella che oggi definiremmo epidemia, contenendo al suo interno l’idea di trasmissibilità della malattia da animale a uomo e da uomo a uomo.
La malattia può essa stessa assumere le caratteristiche di un’animale: può divorare le carni ad esempio, oppure assumerne le sembianze, come il karkínos, che compare sul seno delle donne, con ramificazioni laterali simili alle chele del granchio di terra. È anche di difficile estirpazione chirurgica, come se con le chele si aggrappasse al corpo dell’ospite.
Infine può essere un dio o uno spirito a invadere, e prendere possesso, del corpo di un mortale. È il caso dell’epilessia ad esempio, detta il “morbo sacro”, ascrivibile alla possessione divina e legata strettamente a fenomeni di divinazione.
A integrare queste credenze e, in parte, a rivoluzionare l’approccio alla cura della malattia sarebbe poi arrivato Ippocrate di Kos, isola del Dodecaneso. Sarebbe passato alla storia come padre della medicina moderna, passata da arte a scienza.