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L' ETERNO RITORNO
Questione di un Attimo
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"Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse:

«Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!».

Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?" (La Gaia Scienza)

Questa rivelazione colse Nietzsche durante una passeggiata nel bellissimo contesto di Silvaplana, una località svizzera di montagna vicino a un lago, meta appunto delle passeggiate pomeridiane del filosofo. Immerso in quel significativo scorcio di bellezza naturale, viene colto dall’immagine del tempo che lo spaventa e lo attrae allo stesso momento: partendo dal presupposto che Dio ormai sia defunto, il mondo risulta essere composto da un numero infinito di elementi e questi elementi, non creandosi né distruggendosi, dovranno per forza di cose riaggregarsi nello stesso modo per un numero infinito di volte. Questa è l’immagine dell’eterno ritorno.

Coerente con la tradizione pagana, che concepiva il tempo come una ripetizione circolare e regolare in cui l’universo vive al suo interno cicli di espansione e di ritrazione ed esso stesso a sua volta rinasce e si distrugge regolarmente, la visione di Nietzsche si associa a quella di tanti filosofi greco romani in cui il tempo è concepito come “ordine misurabile del movimento”, ossia “come misura del perdurare delle cose mutevoli e come ritmica successione delle fasi in cui si svolge il divenire della natura”.

Il tempo quindi non può che essere la ruota in cui gli esseri nascono, muoiono, rinascono, fino a ricomporsi allo stato originale, come descrivono le tradizioni filosofiche e spirituali europee, attraverso concetti come gli eoni e le età evolutive, quelle orientali, che esprimono il saṃsāra, il kalpa e gli yuga, al pari di quelle precolombiane con le "ere cosmiche".

«La misura della forza del cosmo è determinata, non è "infinita": guardiamoci da questi eccessi del concetto! Conseguentemente, il numero delle posizioni, dei mutamenti, delle combinazioni e degli sviluppi di questa forza è certamente immane e in sostanza "non misurabile"; ma in ogni caso è anche determinato e non infinito. È vero che il tempo nel quale il cosmo esercita la sua forza è infinito, cioè la forza è eternamente uguale ed eternamente attiva: fino a questo attimo, è già trascorsa un'infinità, cioè tutti i possibili sviluppi debbono già essere esistiti. Conseguentemente, lo sviluppo momentaneo deve essere una ripetizione, e così quello che lo ha generato e quello che da esso nasce, e così via: in avanti e all'indietro! Tutto è esistito innumerevoli volte, in quanto la condizione complessiva di tutte le forze ritorna sempre.»

Il tutto si ripete quindi senza un obiettivo preordinato, un significato aprioristico, un traguardo da raggiungere, aprendo quindi la questione della naturale depressione che ne consegue: la perdita di senso che solo la ripetizione continua può scatenare.

 

 

IL PROFETA E IL NANO

In Così parlò Zarathustra, il profeta racconta a dei coraggiosi marinai come risolse l’enigma del tempo.  Zarathustra narra di come, per riflettere in solitudine, risale sulla montagna lungo «Un sentiero, in salita dispettosa tra sfasciume di pietre, maligno, solitario, cui non si addiceva più né erbe né cespugli: un sentiero di montagna digrignava sotto il dispetto del mio piede.»

Il Profeta dice che il suo percorso era “Verso l’alto, a dispetto dello spirito che lo tirava in giù, verso l’abisso, a dispetto dello spirito di gravità, ch’è il mio demonio e il mio più tristo nemico. Verso l’alto: sebbene quello spirito mi sedeva addosso, mezzo fra nano e talpa: storpio e storpiante, facendo gocciolare piombo nel mio orecchio e pensieri pesanti come piombo nel mio cervello.”  Quel nano, che sedeva su Zarathustra, gli appesantisce il cammino ostacolandolo, standogli sopra fisicamente e insinuandogli dubbi e pensieri che lo zavorrano sempre più: “O Zarathustra, sussurrava beffardamente sillabando le parole, tu, pietra filosofale! Hai scagliato te stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve - cadere! […] ”. Proprio nel dubbio della caduta si presenta il nano, piccolo e storpio, portatore di paure e incertezze, che in un alternarsi parole e silenzi tombali ancorano il Profeta alla sofferenza e alla fatica di un inutile salire. Ma in suo soccorso arriva “la mazza più micidiale”, il Coraggio, che permette a Zarathustra di interrompere lo schema, dicendo al nano “O io! O tu! Ma di noi due il più forte sono io: tu non conosci il mio pensiero abissale!”. Questo momento diventa cruciale per il Profeta, perché dal momento in cui sceglie di affrontare il mostro, si sente più leggero: il nano gli scende dalle spalle e incuriosito ascolta. Dove si sono fermati c’è una porta carraia: “Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e avanti, è un'altra eternità. Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo" ”.
Non è nella contraddizione delle due opposte direzioni, bensì nel punto di convergenza delle due strade, che si palesa la dialettica intrinseca del tempo: passato e futuro non finiscono scontrandosi, ma iniziano in un unico punto, la porta, e sempre da lì divergono. Quell'unico punto in cui passato e futuro hanno origine è il presente, l'attimo, chiave di accesso e unica breccia nel tempo, che altrimenti stritolerebbe chiunque nel suo scontro.


"Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo".  Il nano risponde quindi con una generica e nozionistica “professione di fede” nella circolarità del tempo, e alla conseguente insensatezza del tutto, elemento depressivo e generatore del nichilismo passivo.


"Tu, spirito di gravità! dissi lo incollerito, Non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato e sono io che ti ho portato in alto!” La ferma reazione del Profeta porta una duplice valenza: la funzione di essere condottiero della sua parte immonda, e il giudizio dell’inopportuna superficialità del nichilismo passivo che il nano rappresenta con la sua affermazione. Infatti la risposta di Zarathustra, dopo aver invitato il nano a ad osservare il presente “Guarda questo attimo!”, approfondisce e arriva all'argomento decisivo: non solo tutto ciò che diviene deve essere già stato vissuto, passato e futuro, ma in particolare l'attimo presente, la porta stessa, deve già essere stata e ci sarà. Si realizza quindi il passaggio dall'eterno ritorno come pensiero inibitorio, depressivo e paralizzante, all'eterno ritorno come “liberazione dal simbolico”: l'attimo è compreso nell'eterno circolo di passato e futuro e ne è generatore.

Il passaggio quindi dal nichilismo passivo al nichilismo attivo, è compiuto: “Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all'indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un'eternità. […] E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia - esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'una all'altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé tutte le cose a venire? Dunque anche sé stesso?”

E’ l'eternità che determina la ripetizione: l'infinità del passato e del futuro, in quanto tali, comprendono il tutto, qualsiasi momento che è stato e che sarà, i quali nell'attimo presente, nella "porta carraia", non solo smettono di contraddirsi, ma coincidono richiamandosi a vicenda. Se il passato si compie eternamente ed è inizio e fine, allora non è altro che il ripetersi di ciò che accadrà, e il futuro eterno non può che riproporre gli infiniti accadimenti già esistenti nel passato.

“I due eterni fiumi del passato e del futuro confluiscono nella cascata senza fine dell'eterno ritorno”, il presente onnipresente.

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