Il Dominio della Tecnica

“CORO: Nei doni concessi non sei magari andato oltre?
PROMETEO: Sì, ho impedito agli uomini di vedere la loro sorte mortale.
CORO: Che tipo di farmaco hai scovato per questa malattia?
PROMETEO: Ho posto in loro cieche speranze (typhlàs elpídas).
CORO: Un grande giovamento hai così donato ai mortali.”
(Eschilo, Prometeo incatenato 247-251)
Uno dei codici più sottili del linguaggio del Potere si esprime attraverso la comprensione del contesto e delle forze che si rapportano tra loro.
Senza paura di essere smentiti, oggi si può affermare che stiamo vivendo il periodo dell’assoluto dominio della Tecnica. Ma cosa significa nel concreto questa affermazione?
Innanzitutto, tecnica – tèchne in greco – significa “arte” nel senso di “perizia”, “saper fare”, “saper operare”. Corrisponde a tutta quella preziosissima dimensione – estremamente in voga oggi – delle conoscenze e competenze. È la risposta alla domanda “come?” che spadroneggia a qualsiasi livello della nostra vita quotidiana e risponde ad un unico criterio evolutivo: l’efficienza. Se la domanda della tecnica è il “come”, la chiave evolutiva è l’efficienza e il mezzo con cui si muove nel mondo è il progresso.
Infatti, più la tecnica riesce ad espandere i propri domini, maggiore sarà il livello di progresso che l’uomo vivrà, sia in termini di mezzi a sua disposizione, sia in termini di conoscenze e competenze. Se così non fosse, lo sviluppo della tecnica non avrebbe senso di continuare.
È ormai abitudine sentire politici che rispondono a come realizzare un tal piano di sviluppo per efficientare il tal settore, oppure imprenditori scervellarsi sul come ottenere efficienza nei propri reparti produttivi, distributivi o logistici, quanto è prassi di ciascuno domandarsi come potersi semplificare la vita in questo o in quell’altro ambito quotidiano.
Per quanto possa sembraci logico, normale, perfino naturale, questo modo di vivere e di essere in realtà dominati dalla tecnica ha in sé la matrice stessa della schiavitù peggiore.
Infatti, inconsapevolmente o meno, nel corso dei secoli l’uomo ha abdicato dal ruolo centrale di soggetto della storia, di protagonista dell’esistenza, e ha ceduto tale trono alla tecnica stessa. In un magistrale esempio di eterogenesi dei fini, la tecnica, il “Come”, arriva ad occupare il posto della soggettività e riduce quindi l’uomo a un mero esecutore all’interno dei sistemi che animano la tecnica stessa.
Spesso nella storia dell’uomo molti cambiamenti si possono notare dallo studio dell’ambito militare: con il passare del tempo, la preparazione dei soldati e la capacità strategica vengono subordinate in modo esponenziale alla dotazione di tecnologie sempre più avanzate che permettono di colmare e spesso di superare svantaggi numerici e fisici. In ambito civile, invece, gli esempi più evidenti si hanno con la modernità e l’industrializzazione: le macchine scandiscono il tempo del lavoro e danno indicazione tanto agli operai su come e quando devono essere utilizzate, quanto ai direttori e ai padroni delle aziende dettando i tempi e la mole della produzione. Infine, basti pensare a come oggi anche l’elemento politico abbia rinunciato al suo ruolo di guida, e a quanto funzionari e tecnici dettino di fatto tutte le regole, arrivando addirittura a sostenere la scelta di governi Tecnici – appunto – quali soluzioni migliori per la gestione di un paese.
Come contrappasso a tutta questa efficienza tecnica, però, abbiamo un uomo che progressivamente si allontana dalla sua natura e dalla sua interiorità, considerata sempre più superficialmente e incomprensibile da un punto di vista strettamente tecnico. Infatti, sempre più simile ad un ingranaggio di un meccanismo Titanico, è l’uomo stesso a confermare la propria abdicazione ogni istante della vita individuale e sociale, assorbendo e adottando una struttura di pensiero strettamente tecnocratico.
Ancorati saldamente ad una linearità del tempo che vede tassativamente il passato come obsoleto, il presente come ricerca ed efficienza e il futuro come progresso e benessere, l’uomo dominato dalla tecnica erge a idolo Tèchne, liberatrice delle sofferenze quotidiane. Il progresso diviene il verbo, la religione, l’ideologia di riferimento, mentre la vana ed irrazionale Speranza diventa il nutrimento di cui cibarsi.
Per tale assetto mentale, tutto ciò che arriva dal passato è da considerarsi, nei casi migliori, come un elemento da ridiscutere per essere migliorato, nei casi peggiori un nemico da abbattere.
E Tèchne in tutto questo progredisce, nell’essere sempre maggiormente efficientata, sempre sviluppata, migliorata. Il Progresso per il Progresso è l’humus fertile in cui la tecnica prospera e cresce, estendendo in modo capillare il suo Dominio.
Quello che appare come uno sviluppo perverso e bulimico di vari settori della vita sociale, quali la finanza o la digitalizzazione, in realtà non sono altro che i fisiologici momenti di crescita di Tèchne, che come un organismo punta a crescere e svilupparsi.
In questa crescita fine a sé stessa, però, l‘uomo, ormai subalterno, si smarrisce nella sua nuova mansione di mero funzionario della tecnica, e perdendo una delle sue caratteristiche peculiari perde buona parte della sua forza e della sua Volontà di Potenza.
Questa caratteristica, tipicamente umana, è la ricerca del senso, del perché. La tipica domanda del bambino, la domanda di una soggettività in crescita e sviluppo, è la risposta prima per cominciare a uscire e affrancarsi dall’Impero della Tecnica.
L’uomo è l’unico essere conosciuto che sa di dover morire, e questa consapevolezza getta l’uomo in una naturale crisi esistenziale. Così la domanda delle domande, “Perché?”, si fa largo nella coscienza dell’uomo donandogli il ruolo salvifico del senso.
Quindi, per cominciare a riacquistare Potere e potersi gestire nella vita, prima di chiedersi come poter realizzare una cosa, come poter fare, quali azioni compiere, domandarsi il “Perché” assume una funzione salvifica, sia per la Psyché sia per l’obiettivo desiderato.
È da tener presente che proprio l’assenza di senso e la pretesa di un’efficienza meccanica in ogni ambito della vita sociale, gettano l’uomo nel baratro della depressione e del male di vivere esistenziale. Queste situazioni minano, oltre alla qualità della vita, anche la capacità realizzativa stessa dell’uomo, il quale, attanagliato dalla meccanicità impersonale, fisiologicamente si perde e non manifesta la sua unicità.
Ripristinare l’equilibrio tra uomo e tecnica è possibile e doveroso, soprattutto in questi tempi, e andrebbe a scongiurare atteggiamenti di primitivismo sconsiderato che potrebbero portare ben poco di concreto. Soprattutto in termini di analisi e gestione del Potere.
Per ristabilire quindi l’armonia, la prima e fondamentale operazione da mettere in atto è quella di porsi come prima domanda “Perché?”, a cui successivamente subordinare il “come”, per collocare di nuovo al centro del processo mentale e decisionale l’uomo con la sua coscienza, mantenendo la tecnica quale mezzo per realizzare gli scopi.
Un pensare, un agire, un vivere sensato portano sicuramente equilibrio e indagine interiore, e queste sono le migliori condizioni per conoscere e sviluppare Uomini e Donne di Potere.