FEUERBACH
Il Filosofo della Materia

“Se non si abbandona la filosofia di Hegel, non si abbandona la teologia.”
Feuerbach opera come un punto di svolta nella storia della filosofia: egli rovescia il paradigma ormai comunemente accettato proposto dall’idealismo e arrivato al culmine tramite le opere hegeliane, affermando che non è Dio a creare l’uomo e il mondo, ma è la natura a creare l’uomo e Dio.
In particolare Feuerbach si discosta dalla Spinoziana espressione “Deus sive Natura”, considerando Dio come un trascendente ed esterno creatore del mondo (in una visione molto più simile a quella cristiana), e identificando la Natura con l’immanenza, con quanto costituisce materialmente il Mondo.
Feuerbach sostiene che l’uomo è un essere biologico, un prodotto della natura, la quale non crea solo il corpo, ma anche la mente. In una forma di materialismo antropologico afferma inoltre che l’uomo è inseparabile dalla natura e non è nient’altro che un’espressione necessaria della sua attività fisiologica.
“L'esistenza della natura non si fonda, come si illude il teismo, sull'esistenza di Dio − nemmeno per sogno, è proprio il contrario: l'esistenza di Dio, o piuttosto la fede nella sua esistenza, ha il suo unico fondamento nell'esistenza della natura.”
Seguendo il suo ragionamento è evidente che per lui la filosofia, intesa come scienza che studia la relazione dell’essere con il pensiero, debba essere l’antropologia, cioè la dottrina dell’uomo: solo quest’ultimo, infatti, tra tutte le creature viventi è in grado di pensare.
Per il filosofo, dunque, è l’uomo l’unica realtà autoregolante e infinita nello spazio e costituisce senza dubbio il più alto prodotto della natura. In quanto tale, egli è in grado di relazionarsi con il mondo e conoscerlo a livelli superiori rispetto agli animali, e secondo la teoria di Feuerbach l’unica fonte di sapere che l’uomo può esercitare sul mondo è la sensazione.
Dal materialismo antropologico, quindi, il filosofo si sposta verso il sensazionalismo materialista, dimostrando chiaramente come le sue idee siano molto vicine all’empirismo e come invece siano lontane dall’idealismo hegeliano.
Questa distanza viene ancora una volta fortemente manifestata nell’ambito della religione, la cui origine secondo Feuerbach è il risultato della dipendenza dell’uomo dalle forze elementali della natura.
“L'essenza divina che si manifesta nella natura non è altro che la natura stessa che si manifesta, si mostra e si impone all'uomo come un ente divino.”
La tendenza umana a proiettare le proprie qualità, i propri difetti e i propri desideri sull’esterno e sull’Altro è sempre stata riconosciuta, anche ben prima della nascita della psicologia.
La speculazione di Feuerbach affonda le sue radici proprio in questo concetto, affermando che non è Dio ad aver creato l’uomo, poiché non può un essere trascendente, astratto e perfetto creare qualcosa fuori di sé, ma è l’uomo stesso ad aver creato il concetto di Dio, proiettando in lui sia le sue qualità che i suoi desideri.
“L'essenza della fede [...] è di essere ciò che l'uomo desidera − egli desidera essere immortale, dunque è immortale; egli desidera che vi sia un'essenza che può tutto ciò che per la natura e per la ragione è impossibile, dunque una tale essenza esiste.”
Egli riduce la religione e la teologia all’antropologia affermando che Dio è una proiezione che l’uomo compie involontariamente: quest’ultimo, all'interno della sfera religiosa, si rapporta sempre e unicamente a sé stesso e ai propri desideri.
“L'uomo afferma in Dio ciò che nega in sé stesso.”
Questo avviene perché l’uomo si rende conto che la sua Volontà non può tutto e che non è immortale e invulnerabile, ma soggetto alla malattia, alla morte e alla sofferenza: in altre parole è un essere soggetto allo scorrere del tempo. Non potendo accettare tutti questi limiti alla sua realizzazione ripone la sua Fede all’esterno, in un essere onnipotente ed eterno che lo possa aiutare.
L’atto di Fede compiuto dall’uomo nasce quindi fondamentalmente dalla paura che il desiderio non possa mai essere realizzato, Dio stesso è risultato della trasformazione di quel desiderio, della proiezione e oggettivazione illusoria di ciò che l’uomo vuole:
“Se l'uomo potesse ciò che vuole allora mai e poi mai crederebbe ad un dio, per la semplice ragione che egli stesso sarebbe dio.”
Feuerbach conclude affermando che se l’uomo si rendesse conto di questo meccanismo e, prendendo coscienza dei suoi limiti dati dalla natura, riuscisse a riportare dentro di sé tutto il Potere che ha ceduto ad un’immagine, si accorgerebbe che:
“Dio fa miracoli, ma su preghiera dell'uomo, [...] sempre secondo le sue intenzioni, d'accordo con i desideri umani più intimi e riposti.”
Ristabilendo dunque quella che è secondo Feuerbach la corretta gerarchia, l’uomo arriverebbe a comprendere che egli è il più completo e riuscito prodotto della Natura, quest’ultima gli è conoscibile attraverso la sensazione, e il suo intelletto (anch’esso risultato della Natura) che lo distingue dagli animali è ciò che gli fa sentire la necessità di credere in un dio.
Smettendo di cedere tutto il suo potere all’immagine prenderebbe coscienza infine del fatto che è egli stesso ad essersi posto in una condizione subordinata rispetto ad un’idea, costringendosi dunque ad una vita mediocre per non trovarsi mai a dubitare della perfezione di quel celestiale essere.
“Per arricchire Dio, l'uomo deve impoverirsi; affinché Dio sia tutto, l'uomo deve essere nulla. [...] Ciò che l'uomo sottrae a sé stesso, ciò di cui per sua natura è privo, se lo gode in Dio in misura incomparabilmente maggiore.”