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Di Padre in Figlio
un'Eredità da perdonare

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Nel Signore degli Anelli una delle figure centrali è sicuramente quella di Aragorn, il Ramingo che diventa Re. Lo si incontra nei panni di un vagabondo delle Terre selvagge dall'aspetto dimesso, chiamato Grampasso poiché nessuno conosce il suo vero nome, seduto in un angolo in una locanda di una cittadina ai confini della Contea. Eppure costui, come verrà rivelato al Consiglio di Elrond, è discendente del leggendario Isildur ed ha sangue reale nelle vene. Come mai allora è privo di corona, dimora e ricchezze dovute al suo rango? La causa potrebbe essere fatta risalire allo stesso Isildur e al suo rifiuto di distruggere l'Unico Anello.

Come viene mostrato anche nelle scene iniziali dell'adattamento cinematografico, Isildur cade in un'imboscata degli Orchi, sconfitti ma non scomparsi dopo l'apparente distruzione di Sauron. Lo spirito di quest’ultimo, infatti, legato all'Anello, sopravvive ancora, e così anche la sua volontà: ne è la prova il fatto che gli Orchi in questa fase continuino a muoversi in bande bene organizzate, a differenza di ciò che invece accadrà dopo la distruzione definitiva dell'Anello, che li vedrà terrorizzati e allo sbando.

È stato quindi Isildur stesso a creare le premesse per la propria disfatta, e nell'ora dell'estremo bisogno sarà proprio l’Anello di cui si è impadronito a tradirlo, sfilandosi dal suo dito e rendendolo un visibile bersaglio per le frecce degli Orchi mentre cerca di fuggire.

Nell'ultima parte dell'articolo sulla Caduta di Númenor abbiamo visto come la morte di Isildur avrà a lungo termine conseguenze nefaste, soprattutto per il Regno di Arnor governato dai suoi discendenti diretti: infatti, dopo secoli, Arnor verrà diviso in tre regni più piccoli che saranno facile preda per le armate del Re Stregone di Angmar signore dei Nazgul, il quale li distruggerà uno ad uno fino a rendere gli abitanti, i Dúnedain, un popolo seminomade.

 

È in queste circostanze che Aragorn nasce, ben lontano dai fasti del passato, figlio di un popolo braccato dagli Orchi: verrà infatti portato a Gran Burrone all'età di soli due anni per esservi cresciuto, poiché il padre è morto in un'imboscata come Isildur. Raggiunti i vent'anni, gli verrà rivelata la sua appartenenza alla casa reale e comincerà ad assumere il suo ruolo di Capitano dei Dúnedain, la sua gente.

Nel corso degli anni combatterà anche per Gondor sotto falso nome, agli ordini di Ecthelion, padre di Denethor, guadagnando l'affetto e la stima del Sovrintendente e di tutto il popolo, e riportando inoltre una grande vittoria sui corsari che attaccavano Gondor all'epoca. Al ritorno da questa impresa, però, si rifiuterà di ricevere i dovuti onori a Minas Tirith, e si congederà con un messaggio ad Ecthelion, dicendo “Altri compiti mi attendono ora, sire, e dovranno passare molti pericoli e lunghi anni prima che io ritorni a Gondor, se tale è il mio destino”.

Sarebbe potuto tornare da eroe, dichiarare la sua vera identità e farsi incoronare dal Sovrintendente, che già ne aveva un'altissima opinione; sceglie invece di allontanarsi e tornare alla sua vita da Ramingo (con grande sollievo di Denethor, che aveva intuito chi fosse in realtà).

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Cosa lo spinge a rinunciare alla gloria e al Regno?

 

“ARWEN: Perché temi il passato? Tu sei l’erede di Isildur, non Isildur stesso. Non sei legato al suo destino.
ARAGORN: Lo stesso sangue scorre nelle mie vene. La stessa debolezza.
ARWEN: Il tuo momento arriverà. Affronterai lo stesso maligno, e tu lo sconfiggerai.“

 

Ecco spiegata la sua titubanza: Aragorn sente ancora su di Sé la colpa del suo antenato, trasmessa attraverso le generazioni e le cui conseguenze sono tuttora tangibili e terribili; l'intera Terra di Mezzo ne sta ancora pagando il prezzo. L'avere sempre davanti agli occhi queste conseguenze, fa nascere in lui la convinzione di non essere degno di riprendere il ruolo che invece sarebbe suo di diritto, poiché rischierebbe di commettere gli stessi sbagli di chi l'ha preceduto.

Lacan, uno dei padri della psicologia, probabilmente direbbe che è schiacciato dalla figura del Padre.

 

La figura del Padre in psicologia non è per forza rappresentata dal genitore, anche se ne è ovviamente l'origine e l'esempio più ovvio. Il Padre rappresenta la Legge, e quindi il Limite; il suo compito è mettere dei confini al nostro godimento, dicendoci che ci sono cose lecite e cose non lecite, e che non possiamo fare ciò che vogliamo. L’archetipo del Padre si può ritrovare in varie forme nelle figure che per noi rappresentano autorità, come le forze dell'ordine o il capoufficio; nel caso di Aragorn, il suo riferimento è Isildur.

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Aragorn vede il proprio Limite nel fallimento di Isildur, nonché nel messaggio di debolezza che egli legge insito in quell'avvenimento. Questo rappresenta per lui a tutti gli effetti un Peccato Originale, una colpa atavica che si trasmette col sangue, il cui prezzo è la vita di anonimo sacrificio sia suo sia degli altri Capitani dei Dúnedain venuti prima di lui.

Eppure, Aragorn riesce ad uscire da questa palude di auto-flagellazione: a cambiare è la sua consapevolezza, e soprattutto il suo Desiderio. Tolkien non ci dice esplicitamente cosa scateni il cambiamento di Aragorn, ma racconta che egli incontra Arwen, la figlia di Elrond, di ritorno da una missione; dopo un primo incontro avvenuto anni prima in cui si innamorò di lei, in questa seconda occasione, nel pieno del suo vigore e della sua maturità, le dichiara il suo amore. Lei ricambia, nonostante significhi rinunciare al suo essere Elfa.

Così, alla paura di non essere degno del trono si affianca il Desiderio di essere degno di lei e del suo amore. Questo Desiderio innesca il cambiamento: al Consiglio di Elrond vediamo Aragorn mostrare a Boromir la Spada spezzata di Isildur di cui è custode e, dopo avergli parlato dei Dúnedain e della loro difficile condizione, lo sentiamo pronunciare queste parole: “Ma ora il mondo sta cambiando di nuovo. È giunta l’ora novella. Il Flagello d’Isildur è scoperto. La Battaglia è prossima. La Spada sarà nuovamente forgiata. Io verrò a Minas Tirith”.

Aragorn si è infatti reso conto che l'onta e la colpa non sono le sue uniche eredità: attraverso le generazioni, gli è giunto anche uno strumento per riscattare la propria stirpe e la decisione di ri-forgiare la spada di Isildur mostra proprio la sua volontà di riuscirci.

 

Questo ci fa vedere ciò che davvero la figura del Padre è preposta a fare. Per dirla con le parole di Lacan:

“La vera funzione del Padre (…) è quella di unire (e non di opporre) un desiderio con la Legge“.

Il Padre non mette i propri limiti in funzione punitiva, come potrebbe sembrare: il limite serve a dare una forma al nostro Desiderio, che non potrebbe esistere in maniera consapevole né duratura se rimanessimo in uno stato di godimento pulsionale illimitato, preda dei nostri istinti momentanei come animali.

Avere un Limite significa avere un riferimento, un punto di partenza da cui il nostro Desiderio può prendere forma: il Limite è un dono che porta con sé la capacità di concepire il Desiderio come scelta.

Nel caso di Aragorn, il Limite che gli pone Isildur è il pericolo della brama di Potere. Ma invece che averne paura come in passato, è proprio da questo errore che Egli può imparare per non commetterlo di nuovo e quindi per scegliere di diventare migliore: dopotutto, come Arwen dice nei film e come lui stesso enuncia nel romanzo, lui è solo l'erede di Isildur, non Isildur stesso.

Importantissima a livello simbolico è anche la scelta di cambiare il nome alla Spada una volta riforgiata, ribattezzandola per scacciare da essa l'ombra del passato.

 

L’aver preso coscienza del fatto che l'errore commesso dal suo antenato non deve immobilizzarlo per paura e senso di colpa, bensì essere un punto fermo sul quale costruire la propria Azione, è il primo passo.

Il secondo passo è la volontà di riforgiare la spada, ovvero perdonarsi per la propria paura, liberarsi dalla colpa ed iniziare ad adoperarsi per fare ammenda. Il Perdono di Sé inoltre contiene il Perdono verso il Padre, poiché si comprende la natura dei suoi divieti e la si riconosce come necessaria e formativa, mentre prima era percepita solo come odiosa e magari soffocante.

Il passo successivo è l'Azione secondo il Desiderio: Aragorn seguirà la Compagnia come membro, per aiutare a distruggere ciò che ha provocato la caduta di Isildur, e successivamente alle ultime parole di Boromir: “Va' tu a Minas Tirith e salva la mia gente!“ e alla divisione della Compagnia stessa, Egli intraprenderà definitivamente il suo cammino verso Minas Tirith e la Corona.

 

Mano a mano che avanza verso il suo obiettivo, chi gli sta attorno nota sempre di più i segni di una regalità sopita che si sta pian piano affermando: nell'Uomo che a fianco di Re Théoden galoppa al Fosso di Helm, è ormai rimasto ben poco del vagabondo delle foreste.

Un altro importantissimo passo viene compiuto da Aragorn quando si troverà a richiamare l'esercito di spettri dai Sentieri dei Morti prima di cavalcare da Rohan verso Minas Tirith. Questi spettri erano una volta una popolazione montana legata ad Isildur da un patto di vassallaggio, ma quando vennero richiamati da quest'ultimo per combattere Sauron, tradirono il giuramento e rimasero nei loro villaggi. Isildur allora li maledì, condannandoli a vivere tra la vita e la morte finché non avessero rispettato il loro giuramento. Aragorn li convoca, e i morti accorrono al suo cospetto: “«Fedifraghi, perché siete venuti?» Si udì una voce rispondergli nella notte come da molto lontano: «Per mantenere il nostro giuramento e avere pace». Allora Aragorn disse: «É giunta infine l'ora. Io vado a Pelargir sull'Anduin, e voi mi seguirete. E quando da questa terra saranno spazzati via i servitori di Sauron, considererò mantenuto il giuramento ed avrete pace e riposo eterno. Perché io sono Elessar, l'erede di Isildur di Gondor».

 

Questo momento è di estrema importanza perché vediamo Aragorn per la prima volta utilizzare la sua autorità regale, e questa autorità venire riconosciuta. Non solo, ma l'azione compiuta va a correggere la conseguenza di una delle azioni lasciate irrisolte da Isildur: Aragorn sta ponendo rimedio ai torti e ai “conti in sospeso” del suo antenato, segno di quel Perdono verso il Padre di cui si discuteva prima.

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Quando giunge a Minas Tirith assediata dagli Orchi ormai non esistono più dubbi: sulla nave sulla quale arriva viene issato lo stendardo di Elendil, padre di Isildur, bandiera regale che non si vedeva da secoli; ha deciso quindi di presentarsi al popolo e ai suoi nemici come Erede di Isildur, non più motivo di vergogna ma di fierezza e diritto. Diritto che si è più che guadagnato con le azioni oltre che con la mera appartenenza alla stirpe reale: un'intera vita passata a combattere il più feroce nemico dei  Númenoreani e causa della distruzione della patria ancestrale si sta avvicinando al suo compimento.

 

Dopo la sconfitta di Sauron ad opera di Frodo (...e di Gollum), grazie al diversivo preparato da Aragorn e Gandalf, rimane solo la ricompensa per l'assunzione di Responsabilità e l'Azione: il Trono.

Sarà la stessa gente di Gondor, come da tradizione, a sancire la sua ascesa:

“Allora Faramir si levò in piedi e parlò con voce chiara: «Uomini di Gondor, ascoltate ora il Sovrintendente di questo Reame! Mirate! Finalmente è giunto colui che rivendica il titolo di Re. Ecco Aragorn (...) Volete che sia Re ed entri nella città e vi dimori?». E tutto l'esercito e l'intera popolazione gridarono «Sì», all'unisono.”

Aragorn ha completato il suo viaggio, invece di continuare a farsi schiacciare dalla colpa del Padre si è preso carico di questa colpa, l'ha svincolata dal proprio valore personale e l'ha portata a risoluzione, per Sé stesso e per i propri discendenti.

 

Questo è il suo insegnamento, dare la giusta importanza alle cose e ai simboli, così come dirà ad Arwen sul letto di morte:

“Guarda! Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi.”

I Fuochi di Gondor

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