Druidi: Saggezza, Sapienza e Autorità

Torniamo ad occuparci della civiltà celtica, andando questa volta ad approfondire una delle sue figure più caratteristiche, quella del druido.
Gli appartenenti a questa casta non erano semplicemente sacerdoti, ma veri e propri sapienti a tutto tondo che ricoprivano molteplici ruoli: giudici, storici, consiglieri, filosofi, astronomi, maghi e medici. Per svolgere tutte queste funzioni era ovviamente necessaria una lunga e accurata formazione, che durava tra i venti e i trent’anni.
Ma cosa significa druido?
Inizialmente, la teoria più accreditata era quella del dotto latino Plinio il Vecchio, che faceva derivare il nome dal termine greco drus, il cui significato è quercia, albero sacro ai druidi. Negli ultimi anni però, questa versione è stata superata, grazie a studi etimologici approfonditi che hanno individuato l’origine del nome druido nella radice indoeuropea dru (forte) unita a wid (conoscere). Il druido, quindi, era un individuo dalla “forte conoscenza” che poteva appartenere a qualsiasi estrazione sociale, anche se naturalmente non si trattava di un ruolo che chiunque poteva ricoprire.
I druidi erano individui disciplinati, estremamente intelligenti e, tra le altre qualità, dovevano essere dotati di una grande memoria, visto che non mettevano per iscritto nulla di ciò che riguardava il loro antico sapere per evitare che conoscenze riservate a pochi finissero in mani sbagliate o nemiche. L’atto di tramandare oralmente le proprie conoscenze era comune in realtà nella maggior parte delle caste sacerdotali antiche, che avevano tra gli altri compiti quello di custodire i segreti religiosi destinati solo ad alcune élites, e questo contribuisce a spiegare la lunga e difficile formazione a cui dovevano attenersi. La casta dei druidi era aperta anche alle donne, purché fossero disposte a sopportare i duri compiti cui bisognava sottoporsi, poiché la loro non era una vita stanziale e non potevano dirsi appartenenti esclusivamente ad un’unica tribù: erano perennemente in viaggio e sempre al servizio di clan differenti dove portavano le proprie arti e scienze a chiunque ne avesse bisogno. Questo fatto contribuisce a dimostrare come, al di là della divisione in tribù, quello dei Celti fosse un popolo unito, visto che i sapienti erano riconosciuti e accettati dall’intera società.
Uno dei ruoli chiave svolto dai druidi era quello di consigliere del sovrano di una tribù. L'esistenza di questa carica, oltre a rappresentare un'eccezione nell'operato di un druido se prolungata nel tempo in quanto chi ricopriva quel ruolo era ovviamente stanziale, permette di mostrare un'altra peculiarità della struttura sociale celtica. I druidi, infatti, venivano considerati socialmente inferiori solo ai sovrani (espressi dalla casta guerriera nobile, uguale per rango a quella druidica) e nonostante questo avevano diritto di parlare per primi nelle assemblee delle tribù, anche prima del Re. Questo ci dimostra quanto fossero autorevoli e quanto il popolo celtico si fidasse di loro e delle loro opinioni.
Erano, di fatto, la classe “intellettuale” della società, che tramandava la storia del popolo e delle tribù. Essendo i Celti convinti di discendere dalle divinità, questa funzione di storici era tanto importante quanto quella di consiglieri, visto che faceva sì che i druidi ricoprissero un ruolo di ponte tra il passato e il presente, quindi tra gli antenati, gli Dèi stessi ed il popolo.
Come abbiamo detto, essi erano un’istituzione slegata dalla singola tribù ma riconosciuta da tutti i Celti e questo fatto è curiosamente in controtendenza con l’anarchia, se così possiamo definirla, rappresentata dal loro storico rifiuto di un’autorità centrale. Si può dunque affermare che, oltre a costituire un ponte tra il passato e il presente, la casta druidica costituiva un punto di unione per l’intera società celtica.
Un ulteriore esempio e prova di questa fondamentale funzione è dato dal loro ruolo in ambito giuridico: nel De Bello Gallico lo stesso Cesare afferma che essi fungevano da giudici in ogni sorta di processo, civile o penale che fosse, ma oltre ad amministrare la giustizia erano anche parte attiva nella creazione di leggi. Il sistema giuridico dei Celti era basato su norme che tenevano conto di elementi quali la famiglia, il rango, le consuetudini ed i contratti, ma l’elemento più importante di tutti era costituito dai principi secondo i quali queste norme venivano ideate.
Essendo i druidi la classe più istruita della società celtica, si occupavano anche di svilupparne il pensiero, cercando di trasmetterlo poi al resto del popolo.
Il pensiero celtico era basato su un sistema morale composto da 4 categorie: giusto (fas) e sbagliato (nefas), legale (dleathach) e illegale (neamdleathach). Queste considerazioni filosofico-morali venivano convertite in una serie di precetti detti Geasa. Questi erano solitamente delle proibizioni simili a tabù, a partire dalle quali venivano ideate ed applicate le leggi. Attraverso studi di quanto giunto fino a noi a proposito delle pratiche giuridiche celtiche, emerge infatti che nonostante le leggi abbiano delle differenziazioni rispetto al popolo che le ha adottate, esistono delle similitudini sufficienti a stabilire che i principi alla base di queste siano i medesimi.
I contratti, ad esempio, avevano valore universale presso tutti i Celti, ed essendo posti sotto la protezione delle divinità era compito dei druidi garantirne il rispetto e l’osservanza. Tutto questo potere era loro garantito, in sostanza, dall’autorevolezza derivante dalla loro sapienza e, in virtù di questo, dall'essere la classe sociale più rispettata e seconda solo ai sovrani per importanza.
Questo Potere, come spesso in passato accadeva, non era del tutto separato dalla funzione religiosa. Nonostante infatti le leggi celtiche prevedessero perlopiù un versamento di denaro come punizione per i reati, nei casi più gravi come l’omicidio o il tradimento veniva emesso dai druidi un pronunciamento chiamato Glam Dicìn: nel concreto si trattava di una maledizione, estremamente temuta dalla società celtica. Ci è stato tramandato che le vittime venivano colpite da un grande senso di vergogna, che portava spesso con sé sensazioni di malattia e morte. La persona colpita dalla Glam Dicìn si trovava ad essere isolata, respinta dalla società in cui era cresciuta: sempre secondo Cesare, la punizione più grande per un celta era infatti quella di venire escluso dai riti religiosi, cosa che lo poneva fuori dalla comunità, un po' come la scomunica in epoca medioevale.
Inoltre, restando in tema di giustizia e rituali, non tutti i processi che i druidi erano chiamati a presiedere erano tra pari casta: anche in una società a struttura piramidale come quella celtica, i membri delle caste più basse avevano comunque la possibilità di portare in tribunale i membri delle caste superiori. Veniva infatti riconosciuta una facoltà di agire in senso giuridico che era valida per le persone di ogni estrazione, ovvero il troscad, un mezzo utilizzabile da chiunque per far in modo di ripristinare la giustizia e tutelare i propri diritti. Si trattava di un digiuno rituale: colui che sceglieva di intraprendere questa via metteva la persona che aveva leso i suoi diritti a conoscenza delle sue intenzioni, quindi sedeva di fronte alla sua porta senza assumere cibo finché il trasgressore non avesse accettato l’arbitrato, ovviamente gestito da un druido.
La filosofia dei druidi si basava su uno studio della natura unito allo studio della filosofia morale, i cui principi sono quelli già citati per la creazione dei Geasa. Al centro di tutto vi era la Verità, concetto fondamentale per i druidi, caratteristica riscontrabile nella lingua: la parola che in antico irlandese indica la verità è alla base di molti concetti, tra cui santità, rettitudine, lealtà e giustizia. La fonte della Vita e del creato è, secondo il pensiero druidico, quello che i greci definivano Lògos, che sarebbe il principio primo, la vibrazione originaria generata da un essere supremo: lo scopo degli uomini e delle donne, quindi, era vivere in armonia con il Lògos.
I Celti, inoltre, furono tra i primi, se non il primo popolo europeo, a sviluppare un pensiero religioso che prevedeva l’immortalità dell’Anima, unitamente alla sua reincarnazione o trasmigrazione dopo la morte. Questo pensiero, simile a quanto propugnato dai pitagorici nella Grecia del VI sec. a.C., è tendenzialmente estraneo alla cultura europea precedente all'arrivo dei popoli proto-celtici, ed è probabilmente un retaggio dell'origine indoeuropea di questi ultimi, che provenivano dalla Valle dell’Indo. In India, infatti, la dottrina della reincarnazione fa ancora oggi parte dell'Induismo, la religione più antica ed ancora oggi più diffusa in quelle regioni.
Nella sostanza, i Celti ritenevano esistessero due mondi paralleli, in cui si succedeva la rinascita dei corpi e delle anime umane. Il secondo mondo, quello dell’aldilà nel senso più letterale del termine, veniva descritto ora come un mondo oscuro e triste (le Isole dei Fomori), ora come un mondo assolato e piacevole (le Terre della Giovinezza). In pratica, i Celti ritenevano che la morte fosse solo un cambiamento di luogo, con la vita che procedeva uguale in questo e nell’altro mondo: si era in presenza di un costante scambio di anime. La morte in questo mondo portava l’anima a reincarnarsi nell’altro e viceversa. Per questo i Celti celebravano la nascita con cordoglio, essendo sintomo della morte avvenuta nell’altro mondo, mentre la morte era accolta con gioia, essendo sintomo di nascita dall’altra parte. I due mondi poi, venivano in contatto nella notte di Samhain, in cui da una parte bisognava prestare attenzione agli spiriti malefici ma dall’altra era possibile comunicare con i propri avi. Questa credenza nella reincarnazione era alla base del motivo, da più autori documentato, per cui i Celti accettavano anche contratti che prevedevano un pagamento nell’altro mondo.
È bene specificare come questo popolo distinguesse con attenzione la reincarnazione (o metempsicosi) dalla metamorfosi, cioè la possibilità di spostare la propria coscienza altrove. Ci occuperemo però di questa facoltà nei prossimi articoli, quando analizzeremo le capacità e le caratteristiche più mistiche e misteriose attribuite ai druidi, ovvero quelle di maghi e veggenti.