Boudicca
la Regina che spaventò un Impero

I Celti, come abbiamo visto quando abbiamo parlato della loro struttura sociale, erano un popolo curiosamente unito e frammentato allo stesso tempo. Le radici comuni, i legami di sangue, la lingua, la religione, il rispetto per i druidi e l'accoglienza per i bardi, tutto questo contribuiva a renderli parte di un unico popolo. Politicamente, invece, ogni clan e ogni tribù erano entità separate, e al di là di periodiche assemblee sotto l'egida druidica, non esisteva né poteva esistere una forma di governo centralizzato. Ogni Celta era fiero di appartenere al proprio gruppo, e non era raro trovare screzi, saccheggi o incursioni tra confinanti. Eppure, in occasione di alcuni avvenimenti i Celti dimostrarono tutta la loro compattezza come popolo, avvenimenti legati a figure di grandi capi guerrieri che ricordiamo ancora oggi. In questo articolo parleremo di uno dei più famosi, la regina Boudicca.
Come spesso accade parlando dell'epoca romana, ed in particolare dei Celti, la quasi totalità delle informazioni che abbiamo su questi importanti personaggi arriva proprio da fonti scritte romane. Data la scarsa propensione al mettere per iscritto le informazioni che caratterizzava i Celti, ci si deve affidare agli storici dell'epoca, che spesso peccavano di orgoglio, quando non direttamente di propaganda, nel parlare di coloro che consideravano “barbari”. In particolare, di Boudicca scrivono due storici, Tacito e Cassio Dione, e nonostante si possano riscontrare in entrambi i difetti sopra elencati, essi parlano chiaramente delle ingiustizie che la regina subì e mostrano un certo rispetto nel raccontare le sue gesta.
Boudicca era una nobildonna degli Iceni, una delle molte tribù celtiche che abitavano la Britannia del I secolo dopo cristo, all'epoca in buona parte sotto la dominazione di Roma. Fu mandata giovanissima a soggiornare presso un'altra famiglia, probabilmente di parenti, dove imparò storia, cultura e tradizioni, ma anche l'arte militare. Al suo ritorno venne data in sposa dalla sua famiglia al re degli Iceni, Prasutago. Egli era uno dei cosiddetti “Re-clienti”, ovvero aveva stretto un patto di alleanza con Roma, dato che molto probabilmente era stato messo sul trono proprio da questi ultimi in seguito ad una ribellione degli Iceni risalente a qualche anno prima. In particolare, la natura di queste alleanze prevedeva che, in mancanza di eredi, il regno andasse direttamente all'imperatore. Prasutago aveva avuto da Boudicca due figlie femmine, riconosciute valide eredi presso i Celti: “essi, infatti, nel conferimento del supremo potere non badano al sesso”, scrive Tacito, ma i romani al contrario non consideravano valida la discendenza femminile nel passaggio del trono.
Tutto ebbe inizio alla morte di Prasutago. Il procuratore imperiale Catone Deciano esortò i legionari ad annettere il territorio degli Iceni, considerato ormai parte della provincia, atto che si rivelò ben presto avere come reale obiettivo il sistematico saccheggio delle ricchezze della regione e in particolare delle famiglie nobili, con buona parte del bottino giunto direttamente nelle tasche dello stesso Deciano. Cassio Dione racconta che Deciano accampò come scusa per i saccheggi la restituzione di alcuni crediti concessi agli Iceni dall’imperatore Claudio e dal filosofo Seneca, su cui sarebbero stati applicati interessi esorbitanti. Questa motivazione suona estremamente improbabile, visto che Claudio era morto pochi anni prima ed è ben noto agli storici l’impegno politico di Seneca contro lo sfruttamento delle province, mentre altrettanto nota è la diffusa corruzione fra i funzionari provinciali. Boudicca fece le sue rimostranze, e per tutta risposta i romani la umiliarono, sia spogliandola e fustigandola in pubblico sia violentando entrambe le figlie.
Questo atto orribile andò ad aggravare una situazione socio-politica già in bilico. I romani avevano occupato Camulodunum, la capitale dei Trinovanti, tribù adiacente agli Iceni, cacciandone la popolazione e rendendola la capitale della provincia. Non contenti, iniziarono a costruirvi uno sfarzoso tempio dedicato all'imperatore Claudio, morto da poco, tassando pesantemente i britanni sottomessi per finanziarlo, tanto che Tacito riporta che il tempio rappresentasse “il quartier generale dell'eterna tirannia” agli occhi della popolazione celtica. Inoltre, dalla parte opposta dell'isola, nell'odierno Galles, il governatore Svetonio Paolino con la maggior parte dei legionari di stanza in Britannia aveva appena perpetrato un altro atto estremamente oltraggioso, ovvero il “massacro di Menai”.
Sulla punta nord del Galles si trova l’isola di Anglesey, allora conosciuta come isola di Mon, o Mona in latino, con lo stretto di Menai a separarla dalla terraferma. Essa era uno dei maggiori centri druidici del mondo celtico, e all’epoca anche il fulcro della resistenza anti-romana. Le due cose erano strettamente collegate dato che, di tutti i nemici di Roma, i druidi furono certamente tra i più implacabili e per questo temuti e perseguitati. Come mai, ci si potrebbe chiedere, i druidi erano così avversi alla dominazione romana? I romani infatti garantivano grandissima libertà religiosa ai popoli sottomessi, purché non si violassero le leggi. Bisogna ricordare che i druidi, come abbiamo spiegato negli articoli a loro dedicati, non erano semplici sacerdoti, ma depositari di leggi, consuetudini e tradizioni oltre che di miti e rituali, praticamente tutto ciò che costituiva l’identità del popolo celtico. Essi perciò non potevano accettare l’assimilazione culturale che i romani attuavano ovunque, e che avevano già avuto modo di vedere con i loro fratelli in Gallia, dove soprattutto nelle città i Celti dimenticavano i loro usi e costumi per romanizzarsi sempre di più, e dove i druidi stessi avevano già subìto dure persecuzioni.
Tacito ci racconta l’accaduto: i legionari di Paolino attraversarono lo stretto, trovandosi di fronte ad una scena terrificante: “Sulla riva opposta stava l'esercito nemico con il suo vasto numero di guerrieri armati, mentre, fra le file schierate, le donne, in abito nero come le Furie, con i capelli scomposti, agitavano le torce. Attorno, i druidi, alzando le mani al cielo e lanciando imprecazioni terribili, spaventavano i nostri soldati con uno spettacolo sconosciuto così che, come paralizzati, stettero immobili, esposti ai colpi dei nemici”. La disciplina militare ebbe la meglio sul terrore, e alle truppe venne ordinato di uccidere chiunque fosse sull’isola e di distruggere altari e simboli sacri, infliggendo forse il colpo mortale alla casta dei druidi, che non si riprese mai più dall’accaduto e sparì gradualmente.
La giustificazione fu che i druidi praticavano orribili rituali di sangue, diceria molto diffusa e utile a screditare questa casta, ma non supportata da prove, dato che le descrizioni di questi rituali si ritrovano unicamente in autori latini che avevano tutto l’interesse a spacciarla per verità. È ancora oggi molto dibattuto se queste pratiche fossero effettivamente utilizzate, data appunto la poca affidabilità delle fonti ed il silenzio dei diretti interessati. Alcuni ritrovamenti, come il cosiddetto “uomo di Lindow”, possono suggerire che esistessero rituali divinatori, da attuarsi solo in precisi momenti e contesti, che coinvolgessero il sacrificio di un individuo, ma ciò non basterebbe comunque a rendere i drudi quei pazzi sanguinari delineati dai racconti romani.
La violenza, il disprezzo e l’arroganza romana avevano posto le basi per la rivolta, ma mancava un catalizzatore, una “scintilla”, ed appare appropriato che fu una donna famosa anche per la lunga e folta chioma rosso fuoco ad appiccare l’incendio. Boudicca radunò gli Iceni, oltre ai vicini Trinovanti e combattenti di altre tribù stanche dei romani, e formò un’armata. Non si sa se la regina fosse mossa unicamente dal desiderio di vendetta o volesse liberare l’intera Britannia dai romani, ma le parole a lei attribuite da Tacito nel suo discorso all’esercito radunato per la battaglia finale della ribellione sono molto emblematiche: “Non è come una donna discendente da nobili antenati ma come una del popolo che sto vendicando la libertà perduta, il mio corpo flagellato, la castità oltraggiata delle mie figlie. Questa è la decisione di una donna; quanto agli uomini, possono vivere ed essere schiavi”. Era cosa risaputa che circa cinquant’anni prima i germani sotto il comando di Arminio avevano cacciato i romani dalle loro terre con la battaglia di Teutoburgo, e gli stessi britanni erano riusciti un secolo prima a respingere la prima invasione romana comandata da Giulio Cesare, perciò la liberazione dell’intera isola non sarebbe stata considerata come un obiettivo impossibile dai rivoltosi. Boudicca liberò una lepre per trarre un responso divinatorio dalla sua corsa, invocò la dea della Vittoria, Andraste, e si mise in marcia.
Il primo obiettivo fu, prevedibilmente, il centro di potere romano, ovvero Camulodunum, sede anche dell’odiato tempio del culto imperiale. I cittadini chiesero aiuto al procuratore Deciano, che in un’ennesima prova di inettitudine mandò solo duecento ausiliari in aiuto. Il destino della città, peraltro sprovvista di mura, era segnato: l’ultima resistenza dei romani asserragliati nel tempio venne ben presto sopraffatta, e l’abitato venne raso al suolo. La statua dell’imperatore venne decapitata e la testa portata via come trofeo (è stata ritrovata in un fiume nel 1907 ed è oggi esposta al British Museum), ma fu la popolazione a subire la sorte peggiore, oggetto dello sfogo di tutta la rabbia accumulata negli anni. Cassio Dione descrive la furia dei Britanni, che per vendicarsi “Spogliarono le nobildonne della città e le legarono, poi tagliarono loro i seni e li cucirono alle loro bocche, in modo che sembrasse che li stessero mangiando. Poi impalarono le donne attraverso tutto il corpo”, oltre a uccidere il resto degli abitanti, rispondendo al massacro con il massacro.
Una legione stanziata relativamente a poca distanza si mosse per fronteggiare la minaccia, anche se troppo tardi per salvare la città e i suoi abitanti, e venne sconfitta dai Britanni, che la misero in rotta dopo averla quasi dimezzata negli effettivi. La sconfitta di questa legione, quasi l’unica rimasta in zona poiché il grosso delle truppe romane era impegnato in Galles dove aveva appena avuto luogo il massacro di Menai, aprì ai ribelli la strada verso il secondo insediamento romano per importanza, Londinium, ovvero l’odierna Londra, e causò la fuga del procuratore Deciano in Gallia.
La vittoria diede coraggio ai Celti e assicurò nuove truppe a Boudicca, che si mosse verso Londinium. Nel mentre, il governatore Svetonio Paolino, ancora a Mon, venne raggiunto dalla notizia della ribellione e si mise anch’egli in marcia con le sue truppe verso la città. Svetonio vi giunse per primo, ma constatata la preoccupante inferiorità numerica delle sue truppe e consapevole di non poterla difendere, prese la decisione strategica di scegliere un diverso campo di battaglia e prendere tempo per richiamare altre truppe, sacrificando Londinium per salvare la provincia. Londinium subì così la stessa sorte di Camulodunum, nonostante la maggior parte degli abitanti fosse fuggita.
Il comandante romano non riuscì però a raccogliere molti soldati, in quanto la legione sconfitta dai ribelli era fuggita lontano a nord, e l’unica altra legione disponibile, sotto il comando di Poenio Postumo, si rifiutò di giungere in aiuto abbandonando la sicurezza del proprio castra. Trovatosi a corto di tempo e risorse, in quanto oltre ai soldati marciavano con lui anche i profughi di Londinium e le provviste scarseggiavano, decise di tentare il tutto per tutto contro la terrificante condottiera.
La battaglia si svolse lungo la strada che aveva percorso per giungere a Londinium dal Galles, ed è conosciuta come battaglia di Watiling Street. Paolino scelse una stretta vallata, consapevole che in campo aperto sarebbe stato facilmente sopraffatto dal numero dei nemici. Boudicca passò in rassegna i suoi guerrieri sopra un carro, affiancata dalle figlie, per ricordare a tutti l’ingiustizia che combattevano e pronunciando il già citato discorso su libertà e vendetta, ricordando anche la loro precedente vittoria contro i romani ed esortando gli uomini a combattere con gli Déi al loro fianco.
Forte della superiorità numerica, come una novella Morrigan, Boudicca incitò i guerrieri ad assaltare le linee romane, cosa che fecero con furia ma senza ordine. Qui, la tattica, l'equipaggiamento e la disciplina romana dimostrarono nuovamente la loro efficacia, dapprima bloccando e poi respingendo l'assalto passo dopo passo, fino a sfinire i Britanni, che dovettero darsi alla fuga. Fu una strage, soprattutto quando i romani raggiunsero l'accampamento celtico, dove si trovavano anche le famiglie dei guerrieri. La vittoria fu considerata così gloriosa che Postumo, il comandante della legione che non venne in aiuto di Paolino, si tolse la vita per la vergogna della sua inazione.
Cosa accadde a Boudicca non è chiaro, poiché Tacito scrive che si avvelenò con le figlie per non cadere prigioniera, mentre Cassio Dione sostiene che riuscì a fuggire e a raccogliere nuove forze per la ribellione, ma si ammalò e morì. Ciò che è certo è che non venne mai catturata dai romani.
I restanti ribelli, senza il carisma di Boudicca, vennero rapidamente sconfitti, ma la portata e la distruttività della sollevazione causarono tanto sgomento che l'imperatore Nerone considerò persino l'idea di abbandonare completamente l'isola, e fece desistere i romani dal conquistare altri territori in Britannia per i successivi dieci anni. Svetonio Paolino continuò una feroce repressione anche successivamente alla fine della rivolta, tanto che nonostante venisse considerato un eroe venne sollevato dall'incarico da Nerone stesso, preoccupato che i suoi metodi brutali potessero far ripiombare la provincia nel caos di una rivolta. Il suo successore adottò una politica decisamente più rispettosa delle popolazioni locali, cosa che si può considerare una forma di vittoria postuma della coraggiosa Regina.
La figura di Boudicca venne dimenticata nel Medioevo, per poi ricomparire nel sedicesimo secolo quando le opere di Tacito e Cassio Dione vennero riscoperte. Da allora è divenuta un simbolo culturale per i britannici ed un'affascinante personaggio storico per tutti, la dimostrazione della forza di una Donna che decise di non piegarsi alla dominazione straniera e che si fece guida di un Popolo che seppe unirsi contro chi voleva privarlo non solo di terre e ricchezze, ma anche di cultura e identità.