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IL BOSCO
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Socrate chiamava il suo demone questo luogo segreto da dove una voce, che era già al di là delle parole, lo consigliava e lo guidava.

Potremmo chiamarlo anche il bosco.

Ernst Junger

 

Demone è un termine che originariamente indica una divinità inferiore, cioè un’entità intermedia tra il divino e l’umano che può influire in maniera benefica o malefica sulle azioni dell’uomo. Il demone socratico è stato più volte identificato con la voce della coscienza, cioè una voce interiore in grado di dare indicazioni sulle scelte più corrette da compiere. Questa figura delineata da Socrate, in realtà, è qualcosa di superiore alla coscienza umana.

La voce che lo mette in guardia dal compiere determinate azioni, infatti, sembra rappresentare una parte dell’anima collegata ad una dimensione superiore che stabilisce dunque un legame tra la ragione umana e il divino: per questo si dice che questa voce sia identificabile con l’autentica natura dell’anima umana, la sua ritrovata coscienza di sé.

Ma qual è il legame che Junger individua tra il dàimon socratico e il Bosco?

Quest’ultimo è una metafora che il filosofo utilizza per indicare il luogo in cui avviene la liberazione: il passaggio al bosco è uno dei momenti fondamentali del cammino del Ribelle e non è un caso che proprio questo luogo sia stato scelto dallo scrittore come metafora della libertà dell’uomo.

Sin dall’antichità, infatti, il bosco è stato dimora del sacro: qui la Natura regna sovrana, incontrastata e vergine, e proprio per questa lontananza dalla mano dell’uomo qui abitano innumerevoli divinità naturali inferiori e in alcuni casi anche alcune di quelle superiori.

Il bosco è fondamentalmente il luogo che meglio rappresenta l’esplosione vitale della Natura, e la sua sacralità sta proprio in questa arcaica forma di primitivismo: il bosco rappresenta tanto il selvaggio e il pericoloso, con le sue piante velenose e belve feroci, quanto il mite e l’armonioso, con i suoi ruscelli e i verdi alberi.

Non è un caso che l’uomo, fin dall’antichità, ne sia sempre rimasto tanto affascinato da renderlo protagonista di miti, leggende e dimora di ogni spirito sconosciuto ai mortali.

Il mito però non riconosce nell'albero solo un simbolo della vita ma anche del cosmo.

Con le radici affondate nel terreno primordiale, dischiudendo la sua fioritura nell'universo, genera stelle e soli.

Qui il padre e la madre sono uniti in eterno splendore.

È il legno della vita al centro della città eterna in cui ancora non vi sono divisioni né luoghi sacri.

Anche il frassino Yggrasil, all’ombra del quale ogni giorno si riuniscono gli dèi per tenere consiglio, non deve morire con loro: sopravvive oltre il tramonto.

È naturale, per continuare con questa metafora, che l’uomo-massa analizzato nei precedenti articoli, non possa far altro che perire entrando in contatto con una manifestazione talmente profonda e primordiale dell’essere: è solo l’uomo libero, il Ribelle, colui che può aspirare a raggiungere il Bosco.

Per quelli che non si lasciano abbindolare dai venditori di fumo, è giunta l’ora di prendere la via del bosco.

Questo luogo, dunque, rappresenta la forma più profonda e primordiale dell’essere, e tale allegoria fa sì che il parallelismo di Junger con il daimon socratico assuma perfettamente senso: il compito del demone, entità che collega l’uomo al divino, è quello di guidarlo nelle sue scelte per far sì che egli possa mantenere quel contatto con il sacro che altrimenti lo renderebbe un uomo perso. Allo stesso modo, il ruolo del bosco è quello di fungere da passaggio per il Ribelle verso uno stato di coscienza differente: un contatto con la propria parte più profonda, cioè l’Anima, o per dirla in termini eraclitei, un passaggio verso il risveglio.

È importante specificare nuovamente, affinché non si creino dubbi di sorta, che quella del bosco è una metafora, e l’uomo non si mette realmente alla ricerca di una o dell’altra foresta poiché non è di un luogo fisico che il filosofo parla, ma di una condizione interiore che permette questo passaggio ovunque ci si trovi nel mondo.

Per quel che riguarda il luogo, il bosco è dappertutto.

Il bosco è nel deserto, il bosco è nella macchia, il bosco è in patria e in ogni luogo dove il Ribelle possa praticare la resistenza.

L’uomo che compie questo passaggio è veramente libero: non teme più la morte, il passare del tempo e la sua stessa natura umana, vive in armonia con l’universo intero ed è per questo in grado di compiere una Ribellione vera, profonda e verticale.

Ci sono, nel corso del tempo, in quest'incessante divenire che ci circonda, degli istanti di tregua, nei quali comprendiamo all'improvviso che qualcosa è successo.
In tali istanti, percepiamo chiaramente quanto, in fondo, sia scarsa l'importanza che esercitiamo sulle cose, e quanto invece tutto sorga dalle profondità e acceda all'esistenza per trascorrere in essa un breve istante prima di scomparire di nuovo, svolgendo così un compito enigmatico nell'alternanza del divenire, dell'essere e del declino.
Soltanto l'uomo, in quanto creatura consapevole, sente talvolta con un sentimento doloroso l'irresistibile flusso del tempo;

pone la questione senza oggetto del senso reale di tutto ciò, e prova il bisogno di trattenere con accanimento il minuto transitorio, il momento che gli sfugge.

L’uomo che invece accetta lo scorrere del tempo e vive ogni attimo pienamente e consapevolmente è libero e immortale, perché in contatto con il suo demone socratico che gli garantisce un legame privilegiato con la divinità…ma di questa figura parleremo meglio nel prossimo articolo.

L’uomo che riesce a penetrare nelle segrete dell’essere, anche solo per un fuggevole istante, acquisterà sicurezza:

l’ordine temporale non soltanto perderà il suo aspetto minaccioso, ma gli apparirà dotato di senso.

Chiamiamo questa svolta passaggio al  bosco e l’uomo che la compie Ribelle.

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