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Bardi e Aedi

l'arpa e la lira

I legami che uniscono le popolazioni europee sono molteplici. Ne abbiamo avuto un assaggio, ad esempio, quando abbiamo analizzato i punti comuni tra le maggiori divinità celtiche e quelle del pantheon norreno. Talvolta, i legami che ci riportano alle comuni radici europee non sono così espliciti.

È il caso, ad esempio, dei Bardi.

Chi sono i bardi? Abbiamo parlato a lungo dei druidi, la casta sacerdotale al vertice della società, i quali però non erano gli unici a essere annoverati nella classe sacerdotale. Al loro fianco venivano considerati gli ovati, sacerdoti la cui “specialità” era la previsione del futuro, e appunto i bardi.

Il termine “bardo” deriva da una radice che è presente sia in greco sia in latino, il cui significato può essere reso come “colui che crea lodi”.

Il compito dei bardi era quello di conservare il sapere del popolo, memorizzando tradizioni e miti per poi cantarli viaggiando di villaggio in villaggio, di città in città: erano insomma dei cantori raminghi, con poco o nulla da spartire con la figura del giullare che ci ha poi consegnato la storia. Si trattava infatti di una classe altamente istruita, che utilizzava il classico espediente della narrazione iperbolica ed eccessiva per consegnare alla storia e glorificare quelli che in primissima origine erano probabilmente fatti realmente accaduti, personaggi realmente esistiti. In questo senso, per certi versi, il bardo poteva essere considerato dunque una sorta di latore di notizie ante litteram, il cui compito fondamentale era informare, raccontare cosa stesse succedendo in terre lontanissime e irraggiungibili per chi ascoltava.

In alcune regioni, poi, i Bardi erano identificati, da un particolare mantello, in modo da distinguerli. Ed era una fortuna che fossero riconoscibili, vista la credenza, diffusa presso i celti, che negare ospitalità a un bardo in viaggio portasse sfortuna. Durante le loro peregrinazioni, capitava spesso che un bardo bussasse alla porta di una locanda, senza pretese: stava al buon cuore dell’oste dare un pasto caldo e un letto per la notte in cambio delle storie del bardo. Era così che i bardi portavano avanti il loro ruolo di cantori raminghi, raccontando ogni cosa e trasmettendola di generazione in generazione. Unico strumento era la memoria, dato che i celti, come abbiamo visto, non scrivevano nulla riguardo i loro miti e le loro leggende. Si aiutavano con piccoli espedienti, legati alla metrica e alle rime, accompagnandosi con l’arpa, strumento associato al Dagda. Il Dio buono suonava spesso questo strumento, capace di calmare chi era in prenda all’ira.

Ma come mai i bardi possono essere definiti come uno dei tratti che legano i celti ad altri popoli europei? La ragione è semplice: figure molto simili ai bardi erano presenti in più o meno tutte le più grandi popolazioni antiche d’Europa.

Cominciamo dalla Grecia. Anche sulle assolate sponde del mediterraneo c’erano figure sacre, che vagavano narrando miti e leggende: gli aedi, tradizionalmente rappresentati come ciechi per non essere distratti da nulla e affinare i sensi sottili sviluppando gli occhi dell’anima, così da venire in contatto con le divinità e con il mondo superiore. Non solo: si riteneva addirittura che la conoscenza dell’aedo rendesse la vista del tutto superflua, poiché l’artista aveva dentro di sé le muse che lo ispiravano e gli parlavano.

Il termine deriva dal greco antico aoidós, cioè cantare: ed è proprio quello che facevano, accompagnati dalla lira, strumento donato a Ermes da Apollo, dio che aveva nella poesia uno degli innumerevoli suoi domini. Gli aedi utilizzavano un linguaggio esplicito e chiaro, necessario in una società in cui le conoscenze vengono trasmesse oralmente. Questo tipo di linguaggio sintetico e diretto era poi funzionale alle necessità sceniche. Infatti, narrare per intero un poema era pressoché impossibile data la sua mole così ampia e consistente che avrebbe reso troppo lunga la performance, rischiando di annoiare o fare perdere il filo al pubblico in ascolto. Gli aedi, grazie alle loro doti di grande memoria e inventiva, erano in grado di trasmettere il cuore dell’opera compiendo però dei tagli, figli delle necessità sopra spiegate, senza far perdere di senso l’opera stessa.

Secondo quanto ci è pervenuto, esistevano anche delle scuole in cui gli aedi tramandavano i loro canti. La più famosa di tutte era quella sull’isola di Chio, detta scuola degli omeridi, i cui membri si vantavano di discendere direttamente dal più grande aedo: Omero, colui che, secondo la tradizione, aveva composto Iliade ed Odissea.

Figure come i bardi e gli aedi erano però presenti anche altrove, in Europa e non solo nell’antichità. Ne parleremo ancora nel prossimo articolo.

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