L’Ariete, il simbolo della Primavera, della Guerra e della Resurrezione.

In Hoc Tempore Aries Imperat (Alessandro Quarti)
L’uomo ha sempre volto lo sguardo al cielo, cercando risposte alle più svariate domande, e affidandogli speranze ai più diversi desideri. Qualche volta ha avuto soddisfazione nel firmamento, altre volte ha provato l’ebrezza illusoria nel pensare di dominarlo. Il tutto senza mai perderne l’interesse, conscio forse che la volta celeste condivida con la sua insaziabile curiosità la stessa dimensione infinita.
Nelle ere il rapporto uomo-stelle si è sviluppato attraverso un articolato sistema di osservazione e costruzione simbolica, che ha permesso un rapporto sempre più conscio ed elaborato, utile nel circoscrivere l’angosciante senso di smarrimento che l’infinito può dare, nel fascino che solo un mistero mai del tutto svelato può avere.
Quanto ci sia di umano in un simbolo e quanto quel simbolo rappresenti l’essenza a cui si riferisce, è domanda leziosa che lascia spazio a speculazioni di poca utilità per quello che ci accingiamo a vedere. Di certo un simbolo colma la distanza tra l’uomo e l’essenza cui si interroga, dandole una forma, una collocazione nell’universo di cui l’uomo stesso è parte e creatore. E forse tanto basta. Almeno per intraprendere un percorso , che null’altro può togliere se non la curiosità di chi, come altri prima di noi, ha alzato lo sguardo al cielo e ha scelto di non smarrirsi.
Cominciamo quindi questo percorso che ci condurrà attraverso le scienze sacre e quelle profane, la letteratura e le tradizioni mitologico- religiose, a conoscere quei simboli che troviamo nel cielo, e in parte forse anche dentro di noi.
E come in ogni buon viaggio, cominciamo dall’inizio.
Secondo la tradizione occidentale, il Sole rinnova ciclicamente il cosmo risorgendo dagli inferi e dalle tenebre invernali, quando supera l’equatore celeste e giunge nella parte settentrionale del cielo, portando la primavera, entrando nel segno dell’Ariete.
LA COSTELLAZIONE DELL'ARIETE

Costellazione dell’Ariete, rappresentata da Johannes Hevelius.
Costellazione dell’Ariete, rappresentata da Johannes Hevelius.
La costellazione dell’Ariete, si trova tra i Pesci a ovest e il Toro a est. Si tratta di una costellazione di dimensioni relativamente contenute e non è nemmeno particolarmente brillante, se si escludono le tre stelle più luminose.
La prima di queste è detta Hamal, dall’arabo al Ras al Hamal, che significa «testa di pecora», e in effetti è situata proprio sulla fronte dell’animale.
Spicca per il suo colore arancione vivo e molti templi greci erano orientati su Hamal, in particolar modo quelli dedicati a Zeus, in quanto il dio supremo era simboleggiato anche dall’ariete.
La seconda degna di nota è Sheratan, dall’arabo al sharat, «il segno», poiché ai tempi di Ipparco, nel II secolo a.C., essa segnava l’equinozio di primavera

Quando il Sole, nel suo apparente moto annuo, transita per tale punto, la Terra viene a trovarsi in corrispondenza dell’equinozio di primavera: il Sole passa “salendo” dall’emisfero celeste australe a quello boreale e ha inizio la primavera astronomica
Infatti da questa costellazione prende il nome il Primo Punto d’Ariete, ossia l’intersezione fra l’equatore celeste e l’eclittica in direzione nord; si tratta del punto in cui si osserva il Sole il giorno dell’equinozio di primavera boreale ed è considerato il grado zero dell’eclittica.
Di questo aspetto ne parla il Poeta italiano per eccellenza, nella sua opera più significativa.
Attraverso il tipico uso di metrica e allegorie, Dante usa il riferimento astrologico in maniera puntuale per darci riferimenti precisi su cicli astronomici e stagionali.
Attraverso il tipico uso di metrica e allegorie, Dante usa il riferimento astrologico in maniera puntuale per darci riferimenti precisi su cicli astronomici e stagionali.
L'ARIETE EQUINOZIALE NELLA DIVINA COMMEDIA
Dante nella sua opera più celebre, fa diversi riferimenti astronomici e astrologici, citando in più di un passaggio l’Ariete e il ciclo cosmico di riferimento.
Un esempio interessante lo troviamo nel Canto XXVIII Paradiso , dove il Poeta usa il riferimento arietino in modo interessante per indicarci una beata condizione di primavera eterna:
L’altro ternaro, che così germoglia
in questa primavera sempiterna
che notturno Arïete non dispoglia,
Paradiso Canto XXVIII vv 115-117
Il notturno Ariete, ossia tramontato, corrisponderebbe all’Autunno, stagione opposta alla Primavera in cui il Sole sorge in corrispondenza con la costellazione. Opposta all’Ariete, vi è la Bilancia che in primavera è “notturna”, cioè sorge all’orizzonte con il tramontare del sole.
Nell’altro equinozio, quello autunnale, la situazione si capovolge, ponendo la Bilancia come costellazione diurna, e l’Ariete in corrispondenza con il tramonto.
Nella paradisiaca descrizione di Dante questa consizione non si verifica, quindi l’Ariete non è mai notturno, e vi è una Primavera perenne, con la costante spinta vitale che simboleggia.
Tale rapporto astrologico – equinoziale viene ripreso sempre nel Paradiso con i versi del Canto XXIX
Quando ambedue li figli di Latona
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de l’orizzonte insieme zona …
Paradiso Canto XXIX vv 1-3
figli di Latona sono Apollo e Diana, divinità che simboleggiano il Sole e la Luna. Quando illuminano rispettivamente l’Ariete, il Montone, e la Bilancia, la Libra, si trovano allineati, facendo entrambi la stessa cintura dell’orizzonte, e ciò si verifica solo nel momento equinoziale.
Ma è nel I° Canto del Paradiso che Dante ci da altri riferimenti astronomici di importante implicazione simbolica:
Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.
Paradiso Canto I vv 37-42
Il Poeta ci dice che all’equinozio di Primavera, il Sole unisce i quattro cerchi dell’equatore, dell’ellittica del meridiano equinoziale e dell’orizzonte, formando tre croci. Proprio nel segno dell’Ariete, la migliore stella, e nell’equinozio visto come periodo più favorevole dell’anno, il miglior corso, che l’astro plasma al meglio con la propria potenza vitale la materia del mondo, la mondana cera

Questa influenza vitale, ispirò la credenza che il Signore avrebbe creato cielo e terra sotto il segno dell’Ariete, come il Poeta riporta nel I° Canto del’Inferno:
Temp’era dal principio del mattino,
e ‘l sol montava ‘n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle
Inferno Canto I vv 37-40
Infatti qui descrive che era l’alba,temp’era dal principio del mattino, e il sole sorgeva, montava ‘n sù, nella costellazione dell’Ariete, con quelle stelle,nella quale si trovava congiunto quando Dio, l’amor divino, fece muovere per la prima volta le stelle , mosse di prima quelle cose belle ; così che l’ora del giorno, tempo, e la bella stagione, la dolce stagione.
Inoltre la croce che il Sole forma con l’equatore è stata interpretata dal mondo cristiano con il simbolo del Cristo e il passaggio dell’astro al di là del meridiano equinoziale come quello della sua Resurrezione.
In precedenza, nel mondo pagano si osservava che il 25 Marzo il Sole si trova ormai al di sopra dell’equatore celeste, rinato, e nell’antica Roma si celebravano gli Hilaria festa in onore la Resurrezione di Attis con il suo ritorno alla Grande Madre, Cibele.
I cristiani, nell’opera di sovrapposizione calendariale, attribuirono a questo giorno particolarmente propizio anche la Creazione del Mondo e l’Annunciazione.

San Pietro nel Coelum Stellatum Christianum
A riguardo di tale operazione, è da segnalare il Coelum stellatum christianum , opera di Julius Schiller del XVII secolo in cui nel fallito e claudicante tentativo di sostituire i simboli della tradizione astrale con la narrativa cristiana, la costellazione dell’Ariete viene sostituita con San Pietro, come primo elemento fondativo della cristianità.
LA NASCITA DEL SEGNO DELL'ARIETE
Nella mitologia greca il simbolo arietino è presente sin dal periodo pre olimpico del pantheon divino, rappresentato dal titano Crio.
Il riferimento simbolico è già insito nel nome, infatti Crio deriva da Kriôs “ariete”, o da Kreios “maestro”e “signore”. Chiamato anche “Megamede”, il Grande Signore, è figlio di Urano, il cielo e di Gea ,la terra. Quando suo fratello Crono ordì una congiura per spodestare il padre, ordinò a Crio e agli altri suoi fratelli di posizionarsi ai quattro angoli della terra così quando Urano scese per accoppiarsi con Gea, i quattro titani lo afferrarono, tenendolo fermo, mentre Crono lo evirava con una falce. La posizione di Crio e dei suoi tre fratelli ai quattro angoli del mondo nel mito della deposizione di Urano discende probabilmente dai “pilastri cosmici” di altre mitologie che separano il cielo dalla terra e Crio rappresenta il pilastro del Sud, in coerenza con l’inizio dell’anno greco che era segnato dal sorgere della costellazione dell’Ariete da sud.
Un’altra delle prime attestazioni di divinità dell’Ariete ci viene dall’isola di Elefantina, presso Assuan, e dal Dio Chnum, Dio-ariete nonché Signore dell’Acqua Fredda e Dio-vasaio, cioè plasmatore degli esseri umani. Fu forse proprio la giovanile capacità di riproduzione dell’ariete, la sua forza fecondatrice, a ispirare questo culto.
Infatti chi contende con i greci il primato nell’attribuzione del simbolo celeste, sono proprio gli antichi Egizi, che con ogni probabilità crearono l’immagine della costellazione che culminava quando la stella Sirio, nella costellazione del Cane Maggiore, sorgeva determinando il tempo dell’alluvione del Nilo con la benefica fertilizzazione delle campagne.
L’Ariete, che nel firmamento vegliava su quell’evento, alludeva alla presenza di Amon-Ra, il Dio supremo del pantheon egizio, nato dapprima a Tebe come Amon, il Nascosto, e poi associato con Ra, il Dio Sole. Nonostante si credesse che la sua figura trascendesse ogni immagine visuale, Amon – Ra veniva spesso rappresentato da una figura umana con le corna di ariete o da un ariete stesso.
A testimonianza di ciò, ancora oggi si può visitare il Grande Tempio di Amon-Ra a Karnak, in Egitto, e percorrere un viale trionfale ai cui lati vigilano decine di gigantesche sfingi criocefale, creature con corpo di leone e la testa d’ariete, che veniva percorso da fedeli e sacerdoti durante una processione celebrante l’equinozio.
Sul fronte greco invece, Igino nel De Astronomia narra alcuni miti riguardo la nascita dell’Ariete in cielo.

Una delle sfingi criocefale all’ingresso del Grande Tempio di Amon-Ra
Come Ermippo, narra che Dioniso, durante l’invasione dell’Africa, era giunto con il suo esercito in un luogo chiamato Ammodes: un deserto di sabbia. In breve tempo mancò totalmente l’acqua quando, alcuni soldati ormai allo stremo, videro apparire un ariete. Sebbene potesse essere un miraggio, alcuni uomini si lanciarono al suo inseguimento nonostante fossero sfiniti. Ma l’animale correva più veloce di loro. I soldati, determinati quanto disperati continuarono tenacemente nel loro inseguimento, fino a quando l’animale scomparve definitivamente dalla loro vista. Proprio allora scoprirono che nel luogo dov’erano giunti sgorgava una generosa sorgente d’acqua.
Dioniso fu prontamente informato, vi condusse tutto l’esercito e costruì un tempio dedicato a Giove Ammone sistemandovi una statua dell’animale ornata di corna. Dioniso per premiare quel animale lo rappresentò fra le costellazioni del cielo, in modo che il Sole soggiornandovi, rinvigorisse in primavera le piante e gli animali, proprio come l’ariete miracoloso fece con il suoi soldati. Volle inoltre farne il primo segno zodiacale perché era stato la migliore guida del suo esercito in un difficile frangente.

In questi miti si riflette anche quel processo sincretistico che spinse Greci e Romani a identificare l’Amon-Raegizio con il dio supremo del loro pantheon, come testimonia per esempio un busto del IV secolo, custodito nella galleria del museo Capitolino di Roma, dove Giove Ammone appare con orecchie e corna d’ariete come rappresentato nella statua.
A sua volta Leone di Pella, un mitografo ateniese della fine del IV secolo a.C., racconta che, durante il regno di Dioniso sull’Egitto e su altri paesi, giunse dall’Africa un certo Ammone che, gli offrì in dono un gregge imponente al fine di ottenere la protezione del Dio e il riconoscimento di aver inventato un nuovo mestiere: la pastorizia.
Dioniso, dopo averlo ringraziato, gli accordò un territorio che si trovava di fronte a Tebe, e da quel giorno gli scultori rappresentarono quell’uomo misterioso con una testa coronata di corna d’ariete per rammentare che egli era stato il primo a insegnare agli uomini l’arte di pascolare un gregge. Infine il Dio, a ricordo dell’evento, incastonò nel firmamento l’animale
IL VELLO D'ORO
Un altro mito, il più celebre riguardo la nascita dell’Ariete astrale, narra di Nefele, una ninfa delle nubi creata da Zeus. La ninfa fu creta da una nuvola ma con le sembianze di Era, moglie del padre degli Dei. Fu creata per mettere alla prova Issione , re dei Lapiti,che durante un banchetto in presenza degli Dei aveva mostrato interesse proprio per la moglie di Zeus.
Issione cascò nel tranello di Zeus che, credendola Era, abusò di Nefele. Da quell’unione fuori dall’ordinario nacquero i Centauri, e il re dei Lapiti fu punito per le sue intenzioni da Zeus. Dopo il castigo di Issione, Nefele rimase sola senza scopo a vagare tristemente per l’Olimpo, fin quando la stessa Era mossa da compassione, la diede in sposa ad Atamante, figlio di Eolo, e re di Coronea.
Da quell’unione nacquero un figlio, Frisso, e una figlia, Elle.
Tale matrimonio però non soddisfa i due consorti, al punto che Atamante, stufo del disprezzo che la moglie non risparmiava di dimostrargli, ripudiò Nefele e sposò Ino, generando altri due figli. La nuova moglie, non sopportando la presenza dei figli di Nefele, architettò un piano criminoso per farli condannare a morte. Cominciò col persuadere le donne del paese a far tostare i chicchi che servivano per la semina del grano all’insaputa del mariti. Come conseguenza la Primavera non diede alla luce nemmeno una piantina. Preoccupato per tale avvenimento, Atamante inviò alcuni legati a consultare l’oracolo di Delfi. I messaggeri, corrotti dalla moglie, riferirono che il Dio per far cessare la carestia, esigeva il sacrificio di Frisso e della sorella Elle.
Venuta a sapere dell’inganno, Nefele decise di soccorrere i figli inviando loro Crisomallo, un alato Ariete dal vello d’oro che comprendeva il linguaggio umano. L’ariete, rapiti i due giovani si diresse verso oriente. Mentre sorvolavano il tratto di mare che separa l’Europa dall’Asia, Elle scivolò dalla groppa dell’animale precipitando mortalmente in quelle acque che da allora si chiamarono in suo onore Ellesponto.
Frisso invece riuscì a raggiungere la Colchide, situata nella zona orientale del mar Nero, dove regnava un figlio di Elio, Eete. Appena giunto, il giovane sacrificò l’ariete a Zeus e ne inchiodò il Vello d’oro a una quercia, nel bosco sacro ad Ares.
Nefele, a sua volta, pose l’immagine dell’Ariete Salvatore nel cielo da dove, scrive Igino:

Crisomallo figlio di Poseidone, il dio del mare, e di Teofane, figlia del re di Tracia. Poseidone, innamoratosi di Teofane trasformò sè stesso in un ariete e lei in una pecora per potercisi unire. Immagine di Simone De Carolis
«governa la stagione dove si semina il grano, quel grano che Ino aveva fatto seminare dopo aver ordinato che fosse tostato».
Eratostene invece riporta che fu lo stesso ariete a spogliarsi del Vello d’oro, donandolo come ricordo a Frisso, e a salire al cielo da solo.
Per questo motivo «sembra splendere poco». In effetti la costellazione, che si può osservare bene lungo la zona meridionale dell’eclittica fra ottobre e febbraio, è poco appariscente
Del Vello d’oro s’impadronì Giasone nella mitica impresa degli Argonauti, il viaggio iniziatico narrato da Apollonio Rodio, che del sacrificio dell’animale fa raccontare ad Argo:
Vi era già prima noto, credo, che Frisso,
nipote di Eolo, venne ad Eete dalla Grecia;
Frisso che giunse alla città di Eete,
cavalcando un montone che fu mutato da Ermes in oro,
e il Vello potete ancora oggi vederlo disteso sui folti rami di una quercia;
poi, come il montone stesso chiese,
lo sacrificò a Zeus, il figlio di Cronos,
nella sua veste di protettore di esuli.
IL SIMBOLISMO DELL'ARIETE
I miti legati all’Ariete ci danno un quadro simbolico specifico che a seconda delle tradizioni ritorna coerente. Resta marcata la forte polarità dei suoi aspetti, che nella loro apparente inconciliabilità trovano sintesi e forte coerenza nel simbolo arietino.
Questa caratteristica, oltre a suggerire una lettura attenta e mai superficiale, ci rimanda alla complessa natura dell’intero quadro simbolico. La capacità di un simbolo di integrare aspetti apparentemente opposti, invita a una lettura verticale, atta a risalire sempre al principio che soprassiede le diverse manifestazioni, senza fermarsi alla loro apparente incongruenza.
La metafora iniziatica da profondità al simbolo, comunicando direttamente all’uomo un percorso evolutivo, mentre il Servizio dell’Ariete fornisce gli esempi mitologici e religiosi di come questo percorso fu inteso ed integrato nelle diverse tradizioni.
LA METAFORA INIZIATICA
II mito più famoso colloca il Vello d’oro appeso in una giardino sacro ad Ares, e nel territorio di un figlio di Elio: questa costruzione simbolica comunica non soltanto il rinnovamento solare dell’equinozio ma anche un’aurea trasmutazione che rafforza la portata iniziatica del mito con i suoi elementi. La costruzione di tale quadro simbolico, compresa la collocazione di tali elementi vengono spiegati precisamente nell’attribuzione delle dignità astrologiche: il segno dell’Ariete trova il suo domicilio e governo nel pianeta Marte, infatti viene appeso in un giardino consacrato ad Ares, e la sua esaltazione è nel Sole, infatti Crisomallo porta in salvo Frisso in un territorio governato da un figlio di Elio.
Questi riferimenti mitologici e simbolici ci rimandano alla tradizione ermetica e alchemica suggerendo la formula di tramutazione delle qualità qui espresse: tali tradizioni ci spiegano attraverso la metafora dei metalli come sublimare le qualità “inferiori”, umane, in qualità “superiori” o divine.
“Un metallo dalla cui tintura, se si riuscisse ad estrargliela si potrebbe ottenere l’oro” (Jacob Böhme)

Simbolo del Ferro in alchimia, uguale al simbolo di Marte. Rappresenta un’energia incontrollata, con una forte tensione ad espandersi di slancio, a dominare tutto ciò che incontra, anche distruggendolo; esso rappresenta l’anima sensitiva nel suo connotato tipico di forza che spinge al superamento dei confini, di tendenza a dominare la vita e plasmarla, di energia in continuo movimento che scava incessantemente a rischio di consumare sé stessa.
Il metallo a cui fa riferimento Böhme nella citazione, è lo stesso attribuito al pianeta Marte, domicilio del segno e simbolicamente del Vello d’Oro, ed è il Ferro. Tale metallo mantiene le caratteristiche attribuite al Dio – pianeta, ovvero la forza fisica, l’aggressività, l’elemento guerriero e simboleggia l’energia prevalentemente maschile.
Filosoficamente, il Ferro rappresenta una necessità primordiale da temperare, che spinge al soggetto ad abbracciare il fuoco dentro, quello istintuale e meno razionale. La trasmutazione del ferro e quindi di queste qualità “inferiori” porterebbero al metallo prezioso per eccellenza, l’Oro, simbolicamente attribuito al Sole , astro divino ed esaltazione astrologica del segno, nonchè luogo del successo di Crisomallo.
Il compito iniziatico dell’energia arietina quindi ci rimanda al dominio e alla trasformazione dell’elemento virile-guerriero, dalla condizione corporea alla sua espressione più emotiva ed aggressiva, in un elemento di aureo successo, abbondanza e conoscenza.
IL SERVIZIO DELL'ARIETE
La trasmutazione di queste energie sembra essere retta da un rapporto simbolico costante come guida tra l’aspetto guerriero e il ruolo sacrificale, entrambi simulacro di salvezza, abbondanza e prosperità.
Ne è sicura ispirazione la tempra dell’animale che protegge il gregge, quanto la forza dirompente della natura che rinasce dall’inverno
Vessillo di Guerra e Fertilità
La simbolica militare e di abbondanza si evince sin dal primo esempio dell’epopea di Dioniso in Africa: l’Ariete salva l’esercito del Dio guidandolo ad una sorgente d’acqua.
A Roma sotto questo segno si iniziavano le campagne militari, e anche nella Bibbia vi sono riferimenti specifici al ruolo guerriero che questo simbolo evoca:
“Quando si suonerà il corno d’Ariete, appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo proromperà in un grande grido di guerra, allora le mura della città crolleranno e il popolo salirà, ciascuno diritto davanti a sé” (Gs 6,5)
Anche nella culla della cultura Indoaria, troviamo testimonianza coerente di tale significato. Nel Rigveda, il Dio guerriero, pluviale e tonante Indra è rappresentato come un bellicoso ariete. Tenendo presente che Indra oltre ad essere definito l’atterratore di rocche ed avere il governo della guerra, è anche Dio della fecondità. può emergere evidente il collegamento tra forza guerriera ed energia sessuale,sia nel rapporto simbolico che nella reale accezione di violatore delle porte chiuse e delle fortezze imprendibili. Da ciò risulta semplice intuire la bipolare manifestazione dell’ energia arietina nella funzione fecondatore – distruttore.
Nella Baskalamantra Upanishad, è sempre sotto le spoglie dell’Ariete che Indra insegna la dottrina dell’unicità del Principio supremo, il Brahaman:
Io mi sono mutato in Ariete per la tua felicità. E tu sei pervenuto alla Legge per la tua prosperità e per il tuo benessere. Accedi dunque alla mia unica natura. Io sono il banditore; io sono l’immortalità. Io sono te; io sono me e te. Comprendi che tu sei me. Io sono tutto ciò che è e che sarà qua in basso.
Se Indra è il capo dei Deva, l’Ariete viene associato anche a un Asura che i Veda avvicinano ai Deva: Agni, il Fuoco. Costui è al tempo stesso messaggero degli Dèi ai quali sono rivolti i sacrifici cruenti di cui il fuoco è tramite, e Dio domestico, protettore del focolare quale centro della casa. Dio splendente, luminoso, benevolo, Agni è il signore di tutto quel che sulla terra è luce, compreso l’oro.
Questo rapporto dell’Ariete col focolare sembra tipico del mondo indoeuropeo. Ad esso si può risalire per spiegare gli alari e le pietre del focolare ornati di teste d’ariete che si trovano anche mondo celtico.

Agni, dio del Fuoco, è rappresentato come un uomo con due teste, quattro braccia e tre gambe, e fiamme che gli fuoriescono dalla bocca, sempre a cavallo di un ariete. Nelle mani sorregge gli strumenti per ravvivare il fuoco, e il cucchiaio dei sacrifici.
Protettore delle greggi e buon Pastore
Con il secondo mito di Dioniso in Africa, l’Ariete diviene simbolo della pastorizia attraverso il misterioso Ammone, che conduce un numeroso gregge al cospetto del Dio.
Questo aspetto sembra rappresentare un evoluzione del principio di fecondità sopracitato, quasi ad evolverlo in abbondanza attraverso il rapporto diretto con l’uomo. Oltre all’episodio di Dioniso con Ammone, il simbolo arietino si manifesta con diversi esempi.

Apollo Karneios su moneta. Gli attributi sono condivisi con il suo alter ego celtico Belenos.
In analogia con questa accezione del mito arietino, presso i Dori, si adorava Apollo Karneios: sotto forma d’ariete egli era il consigliere dei pastori e il protettore delle greggi. In questa forma, il Dio è quindi provvisto di corna, e definito signore della corona raggiante, ma anche signore del keraunos e dei kerata, ossia della frecciadelle vette . Parimenti a Sparta, nota città militare si celebravano in suo onore le feste di nove giorni dette Kàrneia.
Un altro esempio a Tanagra, in Beozia, si salutava quale salvatore delle greggi dalle epidemie, Hermes, il quale avrebbe preso sulle sue spalle un ariete e lo avrebbe condotto intorno alla città in un rito che avrebbe allontanato il flagello dell’epizoozia. Si tratta di Hermes crioforo, ossia portatore dell’ariete , che è forse uno dei modelli formali del Buon Pastore cristiano.
Tali caratteristiche coincidono con il simbolo cristiano, insieme con le sue qualità di guida carismatica, forte e battagliero.
Questo viene testimoniato da un pastorale d’avorio di Papa Gregorio VII sulla cui voluta l’animale, con una croce sul dorso e uno stendardo, volgeva il muso all’indietro per chiamare il gregge
Simbolo sacrificale e Agnus Dei

Pastorale di Papa Gregorio VII in cui viene evocato il simbolo arietino come simbolo di guida, Buon Pastore, e condottiero.
Non di meno l’aspetto sacrificale assume un aspetto centrale nel simbolo Ariete.
Il sacrificio del mitico Ariete Crisomallo ricorda quello rituale che veniva celebrato dai pastori su una montagna, durante l’equinozio di primavera, per propiziare nuove piogge.
Robert Graves rammenta che si sacrificava un ariete a Zeus sul monte Pelio, quando questa costellazione era in ascesa nel mese che cominciava con l’equinozio.

Olio su tela Agnus Dei del pittore spagnolo Francisco de Zurbarán (1598-1664), oggi conservato al Museo del Prado di Madrid.
Coerentemente con questa visione la Bibbia porta diversi esempi di sacrifici di arieti e in particolare si può leggere il motivo secondo cui nella Genesi, Abramo sacrifica un ariete invece del figlio Isacco:immagine divenuta profetica del Cristo salvatore dell’umanità, la cui Pasqua, simbolo cristiano del servizio nella forma di sacrificio e resurrezione, è festeggiata prevalentemente nel segno dell’Ariete dove il Sole, un’altra immagine del Cristo Salvatore, come detto, viene esaltato.
A ulteriore celebrazione di ciò, nel secolo XV Filarete rappresentò il mito del Vello d’oro in un rilievo di una porta in bronzo della basilica di San Pietro, a simboleggiare il Cristo nelle sembianze dell’ariete salvatore annunciate profeticamente nelle religioni precristiane così come nell’episodio biblico. In questo contesto i cristiani considerarono l’animale uno dei tanti simboli del Cristo sacrificato e lo raffigurarono su sarcofagi e lampade.
Un altro esempio di ariete iniziatico e salvatore è anche quello ucciso nel criobolio, un rito analogo al taurobolio, durante il quale l’iniziando al culto di Cibele riceveva il battesimo nel sangue. La cerimonia consisteva in origine nella cattura di un ariete che veniva sgozzato sopra una fossa preparata a questo scopo, sotto la quale l’iniziato riceveva la doccia del sangue della vittima. Con ogni probabilità, durante l’Impero romano la cerimonia della cattura si ridusse a un simulacro, ma Prudenzio in un suo scritto ci descrive il rito con parole talmente vive, che lasciano ipotizzare un ricordo personale.
L’interpretazione del regime simbolico è univoca: con la discesa nella fossa si rappresentava la morte del vecchio uomo e con l’infusione del sangue si sarebbe ottenuto un aumento della forza materiale dell’iniziato. Con il bagno di sangue egli entrava in comunione con la divinità, con il misterioso Figlio dai molti nomi della Grande Madre. Con il passare del tempo però la rinascita iniziatica va a perdere la portata materiale, mantenendo solo una valenza di rinascita spirituale. Ciò permise ai pagani del sec. IV di paragonare il battesimo di sangue a quello cristiano dell’acqua, e di rendere il culto di Cibele il più tenace dopo la pace costantiniana.
Proprio dal battesimo di Gesù, che da quel momento sarà il Cristo, che nasce la formula dell’Agnus Dei. Infatti nel vangelo Secondo Giovanni, viene narrato che Giovanni Battista proclami:
Ecce Agnus Dei, ecce Qui tollit peccatum mundi (Giovanni 1,29)
Così nasce la formula che per i cristiani incorona Gesù a ruolo di Messia dell’umanità. Tale immagine fu applicata dal profeta Isaia ad una misteriosa figura di un servo di Dio, di cui tradizionalmente gli ebrei ne interpretano un simbolo del popolo di Israele. All’ideale di purezza immacolata, virtù, espiazione e sacrificio eucaristico, il Battista aggiunge quello della universalità dello scopo: Colui che toglie i peccati del mondo, e non solo quelli di Israele.
Da Crisomallo che si incastona nel firmamento alla metafora cristica, al pari del moto solare equinoziale, la portata simbolica dell’ariete chiude il aspetto sacrificale con la Resurrezione e la vittoria della potenza vitale sulla morte.
ASTROLOGIA DEL SEGNO ZODIACALE
In coerenza con il carattere evocativo della simbologia mitologica, l’astrologia riporta il significato dell’Ariete come primo movimento vitale, l’impulso creatore, l’esplosione trasformatrice sotto la spinta della forza cosmica, lo sprigionarsi delle forze brute. Rappresenta un’accelerazione del ritmo vitale, che vive come un balzo in avanti.
Un’altra caratteristica viene spiegata bene negli antichi libri dei Veda dove, come detto sopra, l’Ariete (Mesha, n) è collegato Agni, che è il dio del Fuoco: fuoco celeste, purificatore, fuoco per il sacrificio agli Dei. Infatti il segno insieme al Leone e al Sagittario, forma il Trigono del fuoco.

La forma geroglifica del segno zodiacale simboleggia la testa dell’ariete, ma anche l’organo maschile e i due primi rudimenti vegetali che scaturiscono dal seme.

Il simbolo dell’elemento fuoco è un triangolo con la punta in alto, e il colore attribuito è il rosso.
Il fuoco rappresenta la luce e il calore, l’elemento primario che trasforma la materia.
Essendo il primo segno dello zodiaco, e il primo della stagione primaverile, l’Ariete è un segno cardinale, come il Cancro, la Bilancia, e il Capricorno, ossia un cadine dello zodiaco, in quanto da inizio a una stagione. Per l’astrologia segni cardinali indicano le modalità di azione e comportamento del nativo , con valutazione di iniziativa, esuberanza e ricerca di stabilità. Inolte, tali segni corrispondono alle case angolari che corrispondono alle porzioni del tema natale più influenti e con maggiore incidenza nel tema natale di un individuo.
André Barbault definisce l’Ariete astrale come ”Il soffio del fuoco prometeico, creatore e distruttore al tempo stesso, cieco e generoso, caotico e sublime, capace di espandersi dappertutto. E’ la carica irruente, folgorante, indomabile del fulmine; la violenza del fuoco animale, indifferenziato, la spinta anarchica, divorante, di vigorosi istinti primitiva; la liberazione di forze nuove, irregolari e disadattate, dalle promesse generose, tese verso la meta."

Nel grafico, unendo con una linea l’Ariete alla Bilancia (suo segno opposto) e il Cancro al Capricorno (a loro volta opposti) si realizza la “Grande Croce Cardinale” .
Per questo i tratti arietini si evidenziano in un soggetto tendenzialmente intrepido, impulsivo e dall’istantanea ispirazione. Si appaga non tanto dei risultati delle sue azioni quanto della portata creatrice dell’azione stessa. Per questa ragione talvolta tale impeto si trasforma in imprudenza che spesso lo espone a pericoli e incidenti. In relazione con un eventuale analisi dettagliata del tema natale individuale, si può tradurre il soggetto Ariete come un Sole bambino, in continua ricerca, in un perenne cambiamento, con una straordinaria capacità di rigenerarsi nonostante il grande dispendio di energie e che non si fa facilmente dominare. Risultano essere caratteristiche tipiche di chi ama le imprese nuove, i progetti grandiosi e non solo non si si intimorisce ma si nutre ed eccelle nell’inedito.
Combattenti, pionieri, viaggiatori, artisti ma anche profeti posseduti dal sacro fuoco e le pitonesse, si annoverano tra i protetti da questo segno.
L’Ariete degenerato risulta essere tenebroso, trasforma l’impeto in violenza distruttrice e in malizia corruttrice.
Il Creatore disse:”…a te Ariete affido il compito di dare inizio alla mia opera. Imparerai ad usare il tuo fuoco interiore per far nascere cose nuove. Fa che queste riflettano il mio piano, e non i tuoi desideri personali. Il tuo è un compito arduo e rischioso per affrontarlo ti dono i talenti del coraggio, della fiducia e dell’iniziativa. Coltivali ed usali con discriminazione e gentilezza. Non permettere che impazienza, avventatezza e prepotenza diventino ostacoli da accecare la tua mente.”
Con occhi sprizzanti d’energia, Ariete ritornò al suo posto.
(Rita Casati)
Fonti principali:
A. Cattabiani, Planetario, ed. Mondadori
F. Monte, L’Uomo e lo Zodiaco, ed. Mediterranee
R. Graves, I Miti Greci, ed. Longanesi